Dai rifiuti alla circolarità, a Londra una mostra che affida ai progettisti il ruolo di co-designer del futuro
Waste Age, What Can Design Do? Titolo e punto interrogativo dell’ultima rassegna aperta al Design Museum di Londra (fino al 20 febbraio 2022). Viviamo nell’era dei rifiuti in cui l’80% dei beni prodotti viene buttato via entro sei mesi dall’acquisto. Il design ha contribuito nel dar vita al problema, ma sarà capace di trovare alternative future? Non solo una mostra, ma una vera sfida per uscire dalla “Waste Age” grazie al contributo dei creativi e dei designer più giovani.
Riuso, riciclo, trasformazione dei rifiuti e creazione di materiali “green”, il mantra dei nuovi progettisti, determinati nella visione di un futuro sostenibile per salvare il pianeta. Questo il tema conduttore della mostra la cui inaugurazione coincide con la Conferenza sui cambiamenti climatici – COP26 di Glasgow.
Un percorso espositivo intenso, scrupoloso nell’analisi della produzione dei rifiuti e dei loro movimenti a livello globale, attento nell’individuare cronologicamente le fasi che dal 1700 si sono susseguite, stabilendo rapporti diversi tra umanità e rifiuti, fino ad arrivare all’urgenza attuale.
Peak Waste, intesa come il punto all’apice dell’era dei rifiuti, la fase introduttiva dell’esposizione dove storia, design e ambiente vengono introdotti per dar vita ad una ricognizione sulla tematica degli scarti. In primo piano oggetti in plastica d’uso quotidiano, quali le sedie impilabili e gli elettrodomestici, affiancati dalla produzione di massa di componenti usa e getta, come le bottiglie e le stoviglie di plastica, prive di requisiti di durabilità e pronte a trasformarsi in spazzatura. Sullo sfondo, immagini d’autore delle epiche discariche più estese del pianeta, insieme ad opere nate dal contributo di artisti o volontari impegnati nel salvare l’ambiente.
Allarmanti i dati relativi alle sempre più alte percentuali di “e-waste”, scarti di prodotti d’elettronica, che secondo le stime fino al 2020 ne sono stati prodotti 50 milioni di tonnellate, a cui se ne potrebbero aggiungere altri 20 milioni nei decenni successivi. Forte il messaggio dell’installazione Fadana 40 di Ibrahim Mahama con base ad Accra nel Ghana. Un’opera a grande scala dove un numero infinito di schermi richiamano proprio l’argomento della e-waste.
Precious Waste è il filo conduttore delle gallerie successive dove si accendono toni d’ottimismo esplorando il nuovo approccio verso il riuso di materiali esistenti in più settori commerciali. Per la moda esempi di nuovi capi di abbigliamento firmati dalla stilista Stella McCartney, determinata nel sostenere un metodo d’economia circolare nel design della moda. L’impegno si indirizza verso l’uso di materiali innovativi e disegnando prodotti che dureranno nel tempo. Tra i modelli di trasformazione la SU19 ECONYL® realizzata rigenerando reti da pesca in nylon e scarti industriali.
Nuovi prodotti anche nati dal riuso di composti esistenti per il mondo degli arredi e delle costruzioni. Plastica riciclata da reti da pesca in disuso, per la sedia S-1500 di Snøhetta mentre la Chubby Chair di Dirk van der Kooij nasce da una stampante tridimensionale che sfrutta sostanze plastiche provenienti da frigoriferi in disuso.
«Dobbiamo affrontare il problema dei rifiuti – spiega Gemma Curtin, curatrice di Waste Age – non c’è più tempo per ignorare quello che succede agli oggetti dopo che li abbiamo eliminati. Invece di pensare ai manufatti come ad entità che avranno una vita, questo percorso espositivo propone possano avere più vite».
Questa non è solo una mostra, ma una campagna di sensibilizzazione per porre fine all’era dei rifiuti, e noi tutti abbiamo un ruolo attivo nel nostro futuro. L’esposizione farà vedere come il design sia in prima linea per soluzioni sostenibili.
Post Waste è l’ultima sezione dell’allestimento volta a presentare nuovi metodi di produzione legati all’economia circolare, concentrandosi più su materiali coltivabili che sugli estratti. Installazioni immersive guidano lungo il percorso verso un futuro senza rifiuti. Un quesito a cui si rivolgono molteplici possibili soluzioni sperimentali sia a livello locale che globale. Denominatore comune la necessità di ricreare oggetti con un esteso ciclo di vita, facilmente riparabili, dotati di componenti intercambiabili e scomponibili, per facilitare le future azioni di riuso responsabile e riciclo.
In mostra nuove fibre e sistemi di realizzazione per l’abbigliamento, insieme a tecniche innovative per gli imballaggi basate sull’utilizzo di materiali naturali e biodegradabili quali alghe, cocco e foglie di mais. Decorazioni in lustrini naturali per il lussuoso abito verde di Phillip Lim e Charlotte McCurdy che alle decorazioni tradizionalmente in plastica sostituisce ornamenti in aghe biodegradabili.
Per un’architettura a prova “no waste” la sperimentazione di The Blast Studio per una colonna nata dalla stampa 3D riutilizzando scarti e il fungo Mycelum. Sempre per il mondo del costruito gli studi di ricerca di Alelier Luna si sono applicati sui rivestimenti murali e i pannelli isolanti con componenti naturali derivate dagli steli dei girasoli e ancora i pannelli acustici di Beaux Acoustic Pulp riprendono l’estetica e la funzionalità dei sistemi attualmente sul mercato introducendo sostanze alternative biodegradabili e a base organica.
«Il design ha contribuito a dar vita a una società piena di sprechi e sarà cruciale nel costruire un futuro più pulito – introduce Justin McGuirk, Chief Curator e co-curatore di Waste Age – questo vuol dire riconsiderare stili di vita e materiali. Un’esposizione ottimista che dimostra come la determinazione e l’ingegnosità siano parte della sfida, e vogliamo che questo sia un punto di svolta. Possiamo fare molto, ma questo inizia nel comprendere cosa siano i nostri rifiuti».
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