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Un viaggio per Torino attraverso i film che l’hanno resa protagonista

Scianca ripercorre la sua città da architetto e cinefilo e lancia una provocazione: un rappresentante della Film commission nel team per il Piano regolatore


Il linguaggio cinematografico è capace di far vivere le città nei decenni, attraverso piazze, percorsi e progetti. “Torino. È il cinema bellezza! 400 film, una città, un giornale” è il titolo dell’e-book scritto dall’architetto Giorgio Scianca, che riunisce i testi di 40 articoli usciti sull’edizione torinese de Il Corriere della Sera tra settembre 2023 e dicembre 2024. Una ricerca che, a partire dalla filmografia globale, ha individuato le scene girate negli esterni di Torino, per raccontare la città secondo la narrativa dei lungometraggi. Dalla caserma Vittorio Emanuele I del film Italian Job di Peter Collinson fino alla “tettoia di contadini” della stazione di Porta Nuova ne I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza. E ancora il mercato di Porta Palazzo in Mimì metallurgico ferito nell’onore di Lina Wertmüller e la splendida vista dalla Mole sull’intera città in Al bar dello sport di Francesco Massaro. L’e-book conta ben 450 film e una ventina di documentari, dal 1909 fino ad oggi, dove ogni progetto cinematografico contiene un link per collegarsi al trailer del film.


Giorgio Scianca, autore anche dei libri “Quo vadis architetto” e “La recita dell’architetto”, continua la sua duplice indagine sul mondo cinematografico ammirato con gli occhiali dell’architetto e su quello della progettazione secondo la lente cinematografica.


La ricerca sul rapporto cinema – architettura lo ha portato, lo scorso settembre, a diventare direttore del premio “Sezione Cinema” assegnato da ALA Assoachitetti e Regione Veneto al film (fiction o docufiction) che meglio racconta la professione dell’architetto. Nel nuovo libro il viaggio tra le architetture di Torino parte dai tantissimi lungometraggi che sono stati realizzati tra strade, vicoli, edifici storici e moderni, proprio a ribadire il legame profondo tra la città e il cinema che l’autore conferma nella sua intervista esclusiva per Pantografo Magazine.

Come è nato questo sguardo insolito sulla città di Torino?

Da architetto ho capito che era finito il periodo delle archistar e cominciava una stagione che vedeva un approccio diverso al genius loci delle città, con molta più attenzione al luogo in cui si progetta. Da qui parte la mia ricerca su Torino, la città in cui vivo, per capire come il cinema ha descritto la città in questi 120 anni attraverso i film. Complessivamente ho raccolto 450 film selezionando le scene di esterni girati a Torino e indicizzandoli, scoprendo che praticamente tutta la città, dal centro fino ai quartieri più limitrofi, era stata ben disiscritta negli anni da questi film. Successivamente ho suddiviso i film in 40 articoli pubblicati la domenica su il Corriere della Sera Torino, raccolti poi in questo e-book. L’architettura così come il cinema è un linguaggio: rimangono i muri che raccontano le storie. Ad esempio la Cavallerizza Reale, una volta sede degli scudieri del re con l’università del cavallo e successivamente luogo di trasformazione sociale grazie all’arte povera, oggi si appresta ad una nuova trasformazione.


«Il cinema è fantastico proprio perché racconta tutte queste metamorfosi, diventando in effetti una fonte storica come libri e fotografie dell’epoca. Il testo vuole essere non solo una guida, ma una vera e propria riflessione sulla città».


Uno dei capitoli si intitola “Torino trasformista”, da capitale sabauda a città industriale degli Anni ’60. Qual è il Dna della città, non solo a livello progettuale?

La città di Torino ha tanti Dna, che a seconda delle stagioni e degli anni si sono inseriti e sono stati più o meno dominanti, ma che poi nel tempo ritornano come una memoria inserita nel patrimonio genetico. La caratteristica di Torino rispetto a tante altre città e che è ancora abbastanza originale nelle sue aree geografiche, perché in qualche modo lo spirito della città è rimasto. Proprio per questo diventa una location ideale per girare film e serie tv, che negli ultimi anni sono sempre più numerose. Paradossalmente per ricreare un set esterno che riporti alla Milano di inizio ‘900 è più facile girare a Torino rispetto che allo stesso capoluogo lombardo, dove ormai le commistioni progettuali rendono quasi impossibile concentrare la telecamera sugli edifici di cento anni fa. Guardando il film di Davide Livermore “The Opera” appena uscito nelle sale, si capisce perfettamente lo spirito di Torino, quello della lirica popolare, delle abitazioni classiche, del barocco torinese. Un vero e proprio inno alla città in questo senso. La torinesità è ancora un imprinting che il cinema ha registrato fedelmente nel corso degli anni.

Dalle prime grandi sale di proiezione del ‘900 al Museo Nazionale nella Mole, Torino ha un rapporto unico col cinema. Oggi vede questo amore proseguire anche tra i giovani?

Quello del cinema a Torino è sempre stato un fenomeno che si sviluppa tra i più giovani. Lo stesso Torino Film Festival, oggi arrivato alla 42esima edizione, nasceva come evento dedicato agli autori giovani. Ne è la prova anche la Film commission Torino Piemonte, che dal 2000 in poi ha come scopo la promozione della regione e della città come location e luogo di lavoro d’eccellenza per la produzione cinematografica e audiovisiva, coltivando un gruppo nutrito di giovani registi che hanno il loro pubblico e il loro seguito, con l’entusiasmo di proseguire questo grande sodalizio tra cinema e Torino. La crisi delle sale cinematografiche nasce negli Anni ’80, a causa soprattutto della tragedia del Cinema Statuto del 13 febbraio 1983, quando un incendio provocò la morte di 64 persone. Un evento tragico che divenne un punto di svolta sulle normative in materia di sicurezza nei locali pubblici, cogliendo impreparate la maggioranza delle sale e decretando la morte di tantissimi cinema, a causa dei pochi fondi a disposizione da parte dei gestori.


Una volta i cinematografi erano gli edifici architettonicamente più rilevanti nelle città, insieme ai teatri lirici, ma successivamente gli investimenti, pubblici e privati, sono stati interrotti a favore di altre tipologie di stabili».


Torino si appresta ad approvare un nuovo Piano regolatore nel 2025. Nel libro si auspica che sia coinvolto almeno un rappresentante della Film commission Torino Piemonte.

Credo che sarebbe realmente una decisione utile e proficua. Il cinema ha tantissimi ruoli al suo interno necessari per girare un film. Fino agli Anni ’60 c’era un vero e proprio architetto del film, ruolo che negli anni si è sviluppato in altre figure come, ad esempio, il direttore della fotografia o delle luci. Oggi il location manager per un film è fondamentale ed è una figura che permette poi la realizzazione del film. Il location manager è quella figura che conosce approfonditamente la città, le strade, le facciate, gli spazi pubblici. Conoscono i percorsi, lo spirito e l’anima dei luoghi. I piani regolatori oggi sono frutto di passaggi burocratici che si ancorano ad una carta geografica e alla toponomastica dove si tracciano le grandi linee, senza tener conto dei percorsi reali della città. Oggi abbiamo bisogno di persone che vivono la città in prima persona, così come si girano per strada le scene in esterna di un film. Il location manager studia la città in funzione del cinema, un punto di riferimento che conosce luoghi, persone e dinamiche. Questo sarebbe un enorme contributo per un Piano regolatore realmente efficace e a dimensione d’uomo, capace di risolvere i problemi.

Manca un anno a Milano Cortina 2026. Cosa ci insegnano, dal punto di vista progettuale e di rilancio della città, le Olimpiadi svolte a Torino nel 2006?

Desidero sfatare il mito che celebra il cambiamento di Torino a partire dai XX Giochi olimpici invernali del 2006.


Per me la trasformazione più significativa degli ultimi 50 anni di Torino coincide con il concorso internazionale per la riqualificazione del Lingotto


che nel 1982 fu dismessa come fabbrica con la successiva decisione di riconvertirla. Il progetto, ad opera di Renzo Piano, ha visto la struttura esterna pressoché inalterata, ma con gli interni profondamente modificati per venire incontro alle nuove esigenze espositive e culturali del complesso. Una provocazione che nessuno aveva immaginato fino a quel momento: la grande fabbrica Fiat stava per diventare qualcos’altro, che avrebbe aperto la città al mondo. Questo ha rappresentato la svolta anche per gli stessi cittadini che hanno iniziato a guardare Torino non solo come un polo industriale. Complice anche il Piano regolatore elaborato da Vittorio Gregotti e approvato nel 1995, la città ha iniziato ad attrarre progetti internazionali, che facevano sognare una Torino diversa. In questo contesto si inseriscono le Olimpiadi invernali del 2006, che però oltre alle infrastrutture hanno portato anche diversi debiti nelle casse di comune e regione. Ritengo che il mito delle Olimpiadi sia abbastanza gonfiato rispetto ai cambiamenti tangibili per la città. Le prossime Olimpiadi di Milano e Cortina saranno anche un evento maggiormente diffuso, a livello geografico, rispetto a quelle del 2006 dove tutto era concentrato a Torino e sull’arco alpino poco distante. Sono contento che il Piemonte sia rimasto fuori dall’edizione 2026 per concentrarsi sui prossimi Giochi olimpici invernali, l’edizione 2030 organizzata dalla Francia, in maniera più intelligente e oculata, sfruttando impianti che già ci presenti senza investire inutilmente in nuovi progetti. Lo sport sta diventando un motore economico e progettuale molto importante per Torino, non solo per il primo stadio di calcio di proprietà nel 2011, ma anche per il tennis e il ciclismo (Giro d’Italie e Vuelta).

Il libro è integralmente visionabile a questo link. Seguirà una versione cartacea che includerà anche le fiction televisive girate a Torino.

In copertina: ©Adobe Stock

 

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