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Un ristorante per l’empowerment delle donne migranti

Il progetto Roots a Modena coniuga avviamento al lavoro, diritti e multiculturalismo in cucina


La volontà corale di tre donne è il motore che ha dato vita a un progetto virtuoso mirato a sostenere la formazione e il lavoro delle donne migranti in Italia. Si chiama Roots, si svolge a Modena e deve la sua realizzazione alle fondatrici di Aiw – Association for the Integration of Women: Caroline Caporossi, imprenditrice sociale, Jessica Rosval, chef di Al Gatto Verde di Modena, e Maria Assunta Ioele, avvocato con una vocazione particolare per la tutela delle donne, dei minori e delle persone non rappresentate. Rispettivamente una statunitense, una canadese e un’italiana hanno unito forze e determinazione per rendere concreta l’aspirazione delle donne migranti che desiderano intraprendere un percorso lavorativo nel settore della ristorazione. Il ristorante, che porta lo stesso nome del progetto, in breve tempo ha vinto il premio Champions of Change Award assegnato da The World’s 50 Best Restaurants, oltre a posizionarsi fra i primi 10 ristoranti a Modena sulla piattaforma di prenotazione TheFork.
«In un’impresa sociale, il nostro impatto è reso possibile da un solido modello di business, dalla fornitura di servizi e dalla vendita di beni che rendono il nostro progetto ampiamente autosostenibile – spiega Caroline a Pantografo -. A Roots vogliamo raccontare una storia diversa sulla migrazione e vogliamo mostrare non solo il capitale culturale ma anche il potenziale economico delle donne migranti nel nostro progetto attraverso il loro patrimonio culinario. Quando il ristorante Roots ottiene risultati finanziari, usiamo questi fondi per aumentare il nostro impatto, aggiungendo nuovi programmi che possano rafforzare ulteriormente le donne della nostra comunità».


La storia ha inizio con l’amicizia fra Caroline e Ella, nigeriana, che desidera diventare la prima donna della famiglia a lavorare.


Caroline, sensibile per vocazione e per formazione ai temi sociali, fonda Aiw e coinvolge Jessica Rosval, che oggi con entusiasmo si dedica alla formazione e all’esperienza in cucina di 16 donne migranti all’anno, e Francesca Federzoni, ingegnere e presidente di Politecnica Ingegneria e Architettura, che crede nell’importanza della dimensione umana nel progetto di architettura. Quest’ultima, insieme alla collega Micaela Goldoni, ha contribuito pro bono a studiare il design degli interni del ristorante in funzione delle esigenze delle persone che ci lavorano. Francesca e Micaela conoscono già quegli ambienti, in quanto si trovano all’interno del Comparto San Paolo, che qualche anno prima hanno restaurato con Politecnica Ingegneria e Architettura, e che, peraltro, sin dalla fine del Quattrocento è stato un luogo deputato alla formazione delle donne e al supporto per il loro inserimento nella società. «Roots si inserisce perfettamente nella volontà di creare in questa porzione di città un luogo di accoglienza rivolto in particolare ai giovani e alle donne nel solco di una tradizione centenaria – racconta Micaela -. Per la progettazione del completamento degli ambienti destinati a Roots è stato attivato un percorso di ascolto e di scambio con l’associazione per recepire esigenze e condividere scelte nel rispetto dei caratteri architettonici e morfologici del complesso». Oltre alla sala del ristorante e alla cucina, Roots accoglie anche uno spazio coworking il cui ricavato è destinato a progetti sociali di formazione e supporto di giovani donne migranti. L’obiettivo di Roots è di sostenerle nell’accesso al mercato del mondo del lavoro, anche grazie ai consigli relativi all’impostazione di un colloquio di lavoro, oltre che alla lettura di una busta paga e di altri aspetti burocratici necessari a concretizzare il loro sogno.

Il menù, sviluppato da Jessica insieme alle tirocinanti, si ispira alle tradizioni culinarie dei paesi di origine delle donne. Le “brigate di cucina” si alterneranno al termine di ogni ciclo di formazione professionale, offrendo tre diversi menù che riflettono le tradizioni delle aspiranti cuoche. Adesso e fino a luglio, per esempio, il menù è ispirato da Fatima, Ilham, Rita, Ilknur, Samira, provenienti dal Marocco, dalla Turchia e dal Ghana. Fra le pietanze, oltre agli antipasti da condividere, ci sono per esempio Green Goddess Egusi, una zuppa con semi di melone e un uovo all’occhio di bue, servita insieme a Cuore e Anima, arancino di cous cous con salsa di chermoula, e dolci come Sellou, pasticcino di mandorla, sesamo e miele.
È un mondo variopinto quello che popola Roots, costituito da donne di età diverse che provengono da ogni parte del mondo accomunate dalla volontà di autodeterminarsi attraverso il lavoro, di rendersi indipendenti e di inserirsi nel contesto economico, culturale e sociale del Paese che le accoglie. La contaminazione, la condivisione, il confronto alimentano la forza del progetto, quella di ognuna di loro e del gruppo di cui fanno parte. E così, per esempio, fra le persone che hanno già vissuto l’esperienza di Roots, c’è Mercy, originaria del Camerun, dove studiava giornalismo, cresciuta in una famiglia di cuochi. «Prima di accedere al programma, c’erano cose che non pensavo di essere in grado di fare – dice -. Adesso ho capito che posso fare qualsiasi cosa». Arrivata in Italia, due settimane dopo aver completato il programma di formazione, ha ricevuto ben quattro offerte di lavoro come cuoca. Ora è impiegata in un ristorante a Modena, e allo stesso tempo si dedica come volontaria per le attività di Aiw, svolgendo il ruolo di mentore per le altre tirocinanti. «Il duro lavoro, la capacità e la diversità che le nostre tirocinanti portano in cucina hanno creato un enorme potenziale economico che non solo tiene a galla un’impresa e un programma sociale, ma è anche parte di un movimento che sta cambiando la percezione del valore dei migranti su scala globale», conclude Caporossi.

In copertina: Le tirocinanti di Roots ©Gloria Soverini

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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