Dall’eredità di un’azienda vivaistica abbandonata di Oristano è nato Ros’e Mari Farm & Greenhouse
Siamo a pochi chilometri da Oristano, dove Ros’e Mari Farm & Greenhouse costituisce una delle novità più attraenti di questa parte del Sinis. Azienda agricola, parco naturale con giardini aperti a tutti, ristorante, a breve boutique hotel, scenario di eventi che siglano il rapporto con il territorio, questa nuova realtà nasce per volontà di Lucia Schirru e Gian Michele Pilo, imprenditori locali determinati e illuminati. Il loro progetto parte dalla bonifica e dal recupero di una delle più importanti aziende vivaistiche sarde, attiva in passato a livello nazionale e internazionale con i suoi undici ettari di terreno, e poi abbandonata. Mossi da un sentimento di affezione per un luogo che frequentavano fin da ragazzi, i due hanno deciso di riannodare le maglie di quel passato e di apportare nuova linfa vitale: «Ros’e Mari è stata ed è prima di tutto un’operazione di cuore», esordisce Lucia.
Acquisita la proprietà, la coppia si è trovata di fronte a un paesaggio singolare e affasciante nel quale la natura si era riappropriata degli spazi costruiti dall’uomo: piante le cui radici avevano spaccato i vasi per crescere nelle fogge e nelle direzioni più impensabili, alberi che si erano sviluppati all’interno delle serre fino a rompere i vetri delle coperture nella loro sete di luce, rovi aggrovigliati che erano diventati simili a muri.
«L’obiettivo per noi è stato, ed è tutt’ora, quello di condividere la bellezza e l’anima di questo posto»: è così che Gian Michele inizia il suo racconto quando ci accoglie. Oggi Ros’e Mari è il risultato di un impegno corale, frutto dell’entusiasmo di una squadra di persone ognuna delle quali è chiamata a contribuire con le proprie idee. «Core business dell’azienda è la possibilità di organizzare un centro di aggregazione ludico-culturale», racconta Lucia.
Autenticità, rete con il territorio, identità del luogo e dell’ambiente sono elementi chiave del percorso che abbiamo intrapreso.
Lucia Schirru
Oltre a Lucia e a Gian Michele, Pantografo Magazine ha avuto l’occasione di conoscere gli altri protagonisti di questa rinascita. Davide Schirru, responsabile della gestione del ristorante, ci ha raccontato della sua dedizione per l’azienda agricola che produce molte delle verdure impiegate in cucina. «Oltre ai prodotti del nostro orto – spiega Davide –, cerchiamo di usare materie prime di prossimità come il pesce di Cabras, le arselle di Marceddì, e tutti i prodotti di stagione».
Maurizio Falchi, lo chef, delizia il palato degli ospiti con piatti come Spigola marinata, insalata di bietole al limone e paté di bottarga fra gli antipasti, Risotto agli asparagi, polvere di guanciale e spuma di grana fra i primi, Guancia di vitello brasata, purè di patate, verza e demi-glace all’arancia fra i secondi. «Siamo attenti al rapporto fra tradizione e innovazione: spesso dai piatti della cultura gastronomica locale traiamo ispirazione per reinterpretarli attraverso tecniche di cottura e di lavorazione alternative», argomenta lo chef.
Fabrizio Salis porta in tavola fragranti pizze legate al territorio come la Fior del Sinis (bianca, fior di latte, olio Evo, carciofi freschi, bottarga, zeste di agrumi). Creatività e originalità caratterizzano il lavoro di Loredana Schirru: «Il mio approccio con la pasticceria coinvolge la ricerca», ci dice. Da non perdere Bee Happy, la meringa al polline con cremoso cioccolato al latte, crumble alla mandorla e gelato alla lavanda. Poi c’è Giulia Cossu, che si occupa dell’organizzazione degli eventi. Fra questi ultimi, per esempio, “Primavera in Giardino”, mostra mercato di piante rare e insolite con simposio internazionale al quale partecipano esperti del settore e architetti paesaggisti. Spazio anche a “Serre di Primavera” e “Serre di Autunno”, eventi che accolgono le tipicità del territorio, enogastronomiche e artigiane: «Il rapporto con il nostro territorio si esprime anche attraverso la promozione di tutto ciò che viene prodotto intorno a noi, con particolare riguardo alla sostenibilità e al rispetto dell’ambiente, e non soltanto all’interno della nostra struttura», racconta Giulia.
Alessio Serra è l’interior designer che ha concepito il ristorante: ricavato all’interno di una serra preesistente, il locale è frutto di un recupero che esprime sensibilità per l’archeologia industriale attraverso il mantenimento di elementi e di configurazioni spaziali legati alla storia del luogo. La struttura è quella originaria, con le colonne in acciaio zincato e lo sviluppo in orizzontale tipico delle serre. Quest’ultimo è interrotto solo dal blocco della cucina a vista che contribuisce a definire due sale in comunicazione attraverso una delle navate laterali. Blocchetti di cemento e tubi di aerazione in alluminio (entrambi a vista), pavimento industriale, pareti esterne a vetri che consentono un rapporto osmotico con il verde restituiscono un’atmosfera rinnovata e allo stesso tempo consapevole della vocazione della struttura preesistente. Numerosi i riferimenti alla logica del riuso, fra questi i tavoli il cui piano è costituito da vecchie finestre e i bidoni della birra in plastica color ambra tagliati a metà e usati come paralume delle lampade che illuminano il bancone. Il progettista, dopo aver ricucito la storia della serra e averla legata al presente, è oggi alle prese con la realizzazione del boutique hotel, sempre a partire da una struttura preesistente.
Il verde tutto intorno costituisce il plus valore di Ros’e Mari. Curato da Marco Pessini, agronomo con specializzazione nel settore del paesaggio e nella realizzazione di giardini mediterranei, si appresta a diventare un grande parco concepito come un’oasi nella quale godere delle più diverse espressioni della natura: si può già passeggiare fra le gallerie delle serre annusando il profumo del glicine o riconoscere le piante aromatiche, magari nell’attesa di un aperitivo, mentre la vivace tribù dei gatti della padrona di casa fa capolino incuriosita dalla presenza degli ospiti. Il parco sarà prevalentemente a vocazione mediterranea e nel tempo accoglierà anche piante tropicali.
L’obiettivo è quello di mettere in mostra la natura lasciando visibili le tracce di un processo che ha visto la natura stessa riappropriarsi dei suoi spazi.
Marco Pessini
L’albero con il fusto contorto, le radici che hanno spaccato i vasi delle piante, la natura selvaggia all’interno di alcune serre sono solo alcuni degli “episodi” narrativi che oggi raccontano la storia di un luogo in cui la natura nel tempo ha preso il sopravvento sulle strutture costruite dall’uomo. L’intervento di Marco mira a trasformare questi elementi nella trama di un racconto che i visitatori sono invitati a esplorare. «Il tentativo è quello di preservare la potenza vegetazionale di questi elementi di spettacolarizzazione, alternandoli a giardini, agrumeti e roseti», continua l’agronomo. In questo contesto si dipana la convivenza fra architettura industriale e verde, che richiama la storia dell’attività imprenditoriale della seconda metà del Novecento. Sostenibilità, bassa manutenzione, riuso – per esempio di vecchie radici impiegate a scopo ornamentale, così come dei pallet e delle reti elettrosaldate della vecchia azienda che oggi offrono sostegno alle piante rampicanti – sono altri elementi chiave del progetto.
Il rapporto con il territorio è forte, lo è stato in passato con l’azienda vivaistica, punto di riferimento per l’intera isola e non solo, e lo è oggi, grazie all’intervento di Marco che nel suo lavoro mira a introdurre con garbo e misura elementi che richiamano non solo l’identità sarda, ma anche il più ampio bacino del Mediterraneo.
«Ros’e Mari propone un’esperienza nel suo significato più ampio – sintetizza Gian Michele, che con Lucia condivide l’ennesima avventura della sua vita –. Qui si racconta una storia che procede, si trasforma e continua a svolgersi proponendo uno scenario diverso rispetto a quello originario, ma allo stesso tempo riallacciandosi a esso attraverso il recupero e la sostenibilità».
In copertina: Il ristorante di Ros’e Mari Farm & Greenhouse, Oristano. Progetto: Alessio Serra. (Foto: Filippo Angius)
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