Ne parla Luca Lo Pinto, neo-direttore artistico del museo comunale della Capitale
«Quest’estate, quando si prevede che le città saranno più popolate, i musei per me dovranno ancora di più essere dei luoghi di rifugio, una sorta di retreat intellettuale ma anche non. Semplicemente l’opportunità di vivere di spazi altri, rispetto all’offerta o al paesaggio urbano». Luca Lo Pinto, neo-direttore artistico del museo di arte contemporanea MACRO di Roma, ha descritto così la sua idea di museo post-Covid durante il suo intervento a “Triennale Decameron: storie in streaming nell’era della nuova peste nera”, una serie di dialoghi tra i curatori della Triennale di Milano e intellettuali, personaggi dello spettacolo e della musica, nonché artisti e scrittori, per riflettere sugli effetti della pandemia.
Un direttore giovane per gli standard italiani, nemmeno 40 anni, selezionato tramite un bando pubblico e con all’attivo un ruolo di curatore della Kunsthalle di Vienna e la co-fondazione della casa editrice NERO. In dialogo con Davide Giannella, Lo Pinto ha parlato del nuovo progetto del MACRO, dei possibili scenari per la sua riapertura, ma soprattutto di come cambieranno gli ambiti e gli spazi di fruizione dei musei nel futuro. Musei che potranno e dovranno sfruttare nuovi spazi, come giardini e terrazze, di solito deputati «all’incontro e a una ragione più intrattenitiva» spiega Giannella, e che invece potranno facilmente supplire all’impossibilità di eccessivi assembramenti nelle sale al chiuso. Un’esigenza di carattere “fisico” che andrà ad affiancarsi alla necessità di concepire nuovi modelli e nuove forme di disseminazione dell’arte contemporanea per i quali era già in atto un processo di cambiamento, e che la pandemia non ha fatto altri che accelerare (come del resto in moltissimo altri ambiti).
Nel caso specifico del MACRO, ha spiegato Lo Pinto, la «mostra manifesto» che avrebbe dovuto inaugurare la nuova stagione, “Museo per l’immaginazione preventiva”, avrebbe dovuto aprire i battenti lo scorso 24 aprile, ma è stata posticipata a luglio a causa delle misure attuate per contenere la pandemia. Un periodo forse inusuale per un vernissage, che però, continua il direttore, «nasce dalle condizioni favorevoli che questo museo ha. Il MACRO ha il vantaggio – (possibile grazie al particolare progetto di Odile Decq ndr) – di avere grandi spazi, una parte anche all’aperto, con un grandissimo terrazzo», ai quali si aggiunge la gratuità, una misura che il direttore definisce uno «strumento prezioso per dare una libertà e una maggiore sperimentazione alla programmazione, senza la pressione da grandi numeri». «La gratuità – continua ancora – ti permette poi di rivolgerti a un pubblico di persone che di solito in un museo non mette piede», seguendo un’idea di inclusività e di apertura, soprattutto in un momento in cui l’arte contemporanea è ancora pensata per una nicchia culturale.
Inoltre le condizioni attuali, dove rimarranno vietati i grandi assembramenti, spingeranno verso l’idea di un museo meno spettacolare, meno grande evento, meno grandi numeri
Luca Lo Pinto
Questa mostra potrà essere quindi l’occasione per «forzare» nuovi modi di utilizzo degli spazi museali, disseminando le quasi 60 opere che la compongono anche negli spazi interstiziali, magari non funzionali fino ad ora. Se poi non sarà possibile esibirle tutte all’inaugurazione a causa delle misure di restrizione, ha spiegato ancora il direttore, i luoghi deputati potranno essere lasciati vuoti e le opere aggiunte successivamente, in un «processo di stratificazione, in linea con come ho pensato il museo comunale della Capitale – continua Lo Pinto –, superando l’idea di una mostra come un qualcosa di statico». «Inoltre le condizioni attuali, dove rimarranno vietati i grandi assembramenti, spingeranno verso l’idea di un museo meno spettacolare, meno grande evento, meno grandi numeri» ha aggiunto. Un discorso che si inserisce nel framework più ampio disegnato da Lo Pinto, che prevede che l’intero polo sia «letto e si muova in una dimensione editoriale, concepito come una sorta di magazine tridimensionale». A luglio quindi si potrà avere un assaggio di quello che sarà svelato a dicembre (invece che a ottobre).
Se si invitano artisti bisogna invitarli a produrre qualcosa di nuovo, rendendo chiaro che lo spazio virtuale è un’altra cosa
Luca Lo Pinto
Ma il dialogo nel format della Triennale è stato anche l’occasione per riflettere su come i nuovi modelli di fruizione dell’arte in formato digitale, sviluppati nel tempo della pandemia, potranno rimanere in essere anche in un mondo dove si spera che il distanziamento fisico sarà un ricordo. Secondo Lo Pinto, se da una parte alcuni format potranno ritornare utili – come gli incontri o i dialoghi con artisti all’estero che potranno essere tenuti in videoconferenza –, dall’altra l’esperienza «fenomenologica» che caratterizza l’esplorazione di un museo non potrà essere sostituita nello spazio virtuale.
Il punto della traduzione è l’aspetto più problematico. Trovare forme altre di restituzione, che siano più complesse, oltre a semplici foto o video.
Luca Lo Pinto
Ma, aggiunge il direttore, «è importante che non si sostituisca la conoscenza all’informazione, che è un po’ la deriva dove stiamo andando. Se si invitano artisti bisogna invitarli a produrre qualcosa di nuovo, rendendo chiaro che lo spazio virtuale è un’altra cosa. La traduzione non è un supplemento», puntualizza ancora riferendosi all’importanza della contestualizzazione di quelle opere che già sono concepite per essere declinate in entrambe le sfere. «Il punto della traduzione è l’aspetto più problematico – continua –, ed è anche lo sforzo che noi stiamo facendo. Trovare forme altre di restituzione, che siano più complesse, oltre a semplici foto o video. Non è ovviamente il mezzo in sé, ma è come lo usi».
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