Un progetto che nasce nel 2010 dall’intuizione delle architette Elena Carmagnani ed Emanuela Saporito. Paesaggisti, agronomi, educatori e street artist insieme per la rigenerazione urbana.
In via Foligno a Torino c’è un grande fabbricato industriale degli Anni 20 del ‘900 che, da fuori, sembra uno dei tanti edifici abbandonati che costellano la città. Situato al confine tra i quartieri di Borgo Vittoria e Madonna di Campagna – l’uno un quartiere ben delimitato e dalla forte identità, l’altro esteso e senza un vero centro, entrambi nella zona nord del capoluogo –, l’interno dell’edificio delle ex Fonderie Ozanam da qualche anno cerca invece di essere punto di riferimento e di aggregazione per tutto il quartiere. Con un orto, un giardino mellifero, un ristorante e delle sale a disposizione di associazioni e cittadini, Beeozanam si presta ad essere un centro di cultura, socialità e di recupero, nonché di rigenerazione urbana.
Un progetto che nasce nel 2010 dall’intuizione dell’associazione OrtiAlti, formata da architetti, paesaggisti, agronomi, educatori e urbanisti torinesi, guidati dalle due architette Elena Carmagnani ed Emanuela Saporito. Il piano inizia a prendere una forma concreta nel 2015, grazie alla vittoria del primo premio nell’ambito di We Women for Expo. «Da lì abbiamo iniziato a sistematizzare l’idea di pensare l’orto pensile come un dispositivo per rigenerare delle parti di città sottoutilizzate», spiega Elena Carmagnani.
«Nel 2016 cercavamo un posto dove sviluppare questo progetto pilota e abbiamo trovato questo edificio – continua l’architetta – nato come fabbrica di componenti metallici e realizzato negli Anni 20 del ‘900 da Nicolaj Diulgheroff, un architetto futurista di origine bulgara, che era soprattutto un pittore. Questa è l’unica architettura industriale che ha realizzato, e si è ispirato all’idea di una nave».
Oggi la struttura, che ospita Beeozanam, rappresenta un unicum nella città. Una rarità nel contesto cittadino che vede le pareti esterne decorate con la street art di Tellas, artista sardo famoso in tutto il mondo che la scorsa estate è stato ospite di un festival organizzato proprio nella ex fabbrica.
Street art che, come Carmagnani sottolinea, è un tassello importante del progetto perché «questo posto si rivolge a un pubblico molto giovane del quartiere, il target sono gli adolescenti, è per questo che la componente della street art e dell’arte urbana ci sembra molto importante perché è un attivatore forte in questo tipo di situazioni». E oltre a Tellas, dal 3 ottobre le sale di Beeozanam ospitano la mostra di Ciredz, anch’egli street artist sardo, che hanno come tema il rapporto tra la vita, la natura e lo scorrere del tempo.
E gli orti e il giardino mellifero?
«Il tema dell’orto alto è quello di uno spazio co-progettato anche dalle persone che poi se ne prenderanno cura – continua Carmagnani –. Porta inoltre enormi benefici all’ambiente, perché permette di abbassare il fenomeno delle isole di calore, trattenere l’acqua piovana, gestire il tema dei fenomeni alluvionali, nonché riportare la biodiversità in città», come per esempio le api, ospitate nelle arnie sul tetto.
E le verdure che sono coltivate sul tetto vengono utilizzate dal ristorante al piano terra, gestito dalla cooperativa Meeting Service, che dà lavoro a persone socialmente svantaggiate. Architettonicamente, essendo un edificio vincolato dalla sovrintendenza, i lavori sono stati portati dal Comune grazie a dei fondi europei, con i quali sono stati rifatti il cortile esterno, sostituendo il bitume con del cemento drenante, installate delle vasche di piante, restaurate la parte interna e ristrutturare le sale interne, rendendole di nuovo agibili. Fondi che sono arrivati dall’ambito del programma europeo Co-City e per il quale OrtiAlti, Meeting Service e altre tre associazioni hanno sottoscritto un patto di comunità con il Comune. Una forma nuova ed innovativa di collaborazione che va oltre la semplice concessione, e per il quale il programma di rigenerazione di un’area, la sua cura e la sua gestione, vengono co-progettate dalla città insieme alle associazioni.
In questo modo oggi Beeozanam è diventato un luogo di socialità e cultura – un “community hub” come lo definisce Carmagnani – con un forte accento sul tema dell’ambiente, nonché un luogo aperto e inclusivo, vero motore di rigenerazione urbana, e nel quale sperano di coinvolgere le realtà del quartiere. In una zona che oltretuttto, come sottolinea ancora Carmagnani, non era stata toccata dalla trasformazione olimpica.
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