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Dentro al Digital Art Museum di Tokyo per un’immersione totale nelle opere

Lo scorso 21 giugno ha aperto nel Mori building il primo museo al mondo dedicato interamente all’arte digitale


A un mese dall’apertura, il Mori building Digital Art Museum di Tokyo ha già collezionato due traguardi: due soli anni di tempo dall’inizio dei lavori al taglio del nastro e biglietti sold out dal giorno dell’inaugurazione.

Il Mori building, sede del museo, sorge sull’isola artificiale di Odaiba, una meta turistica molto popolare per chi si reca a Tokyo. Collegata al centro della città grazie al Rainbow Bridge, ospita tra l’altro la sede della Fuji TV con l’edificio disegnato da Kenzō Tange nel 1997.

La sua peculiarità è quella di permettere al visitatore di immergersi totalmente nell’opera d’arte, come ben si capisce dal video ufficiale diffuso pochi giorni prima dell’apertura.

 

Per capire cos’è l’arte digitale basta guardarsi intorno. La troviamo a livelli più o meno alti negli effetti speciali del cinema, nella musica elettronica, fino alle GIF animati che tutti usiamo sui social.

È l’ultima frontiera dell’arte stessa: ci permette di visualizzare luoghi che non esistono se non nella mente degli artisti che li hanno creati, così come ci permette di entrare e di visitare luoghi esistenti senza la nostra presenza fisica.
Inoltre, ha una fruizione estremamente democratica: se l’opera è ben strutturata, la comprensione è immediata. Non servono filtri né spiegazioni, né uno studio della materia. Ci si immerge, semplicemente, in un’altra dimensione.

Chi ha visitato il Padiglione Giapponese durante Expo 2015 a Milano ha avuto un piccolo assaggio grazie alla presenza di due installazioni, ma il Mori Digital Art Museum vuole diventare una destinazione unica anche in vista delle Olimpiadi di Tokyo nel 2020

Maria Elena Viggiano, giornalista

Finanziato da Mori Building Co., il progetto è stato interamente realizzato da teamLabun gruppo di creativi che raccoglie circa 400 professionisti tra matematici, scienziati, ingegneri, creativi ed artisti sotto l’egida di Epson.
Come è spiegato nel sito, «teamLab crede che il dominio digitale sia in grado di espandere le possibilità dell’arte, e che l’arte digitale possa creare nuove relazioni tra le persone».

Il Digital Art Museum si sviluppa in uno spazio tridimensionale di 10mila metri quadrati, con 520 computers che lavorano in sincro con 470 proiettori di ultima generazione, creando un unico, enorme, “ambiente sensoriale” senza precedenti.

Tutte le installazioni riflettono uno dei temi più amati dal collettivo (oltre che ben radicati nella cultura giapponese): l’esplorazione del rapporto tra Uomo e Natura.

Il tema dell’esposizione, Borderless, è sviluppato in oltre 50 opere. Titoli come “Multi jumping Universe”, “Vortex of light”, “Memory of topography”, “Forest of resonating lamp” inducono già lo spettatore verso un’esperienza interattiva e di scambio con l’opera d’arte anche perché la posizione, il contatto fisico e la direzione dei visitatori cambiano in tempo reale le traiettorie e i movimenti delle figure di ogni singola opera.

Niente tele, pittura o schermi ma passeggiate dentro grandi installazioni da toccare e attraversare fisicamente.

Un breve excursus tra le opere principali è offerto dal canale Ikidane Nippon:

Questo museo sfrutta al massimo l’evoluzione della tecnologia digitale, lasciando campo libero all’espressività artistica e liberandosi definitivamente dal supporto statico e materiale dell’opera d’arte.

«L’avvento della tecnologia digitale consente all’espressione umana di liberarsi da questi vincoli fisici, permettendole di esistere e di evolversi liberamente», spiegano ancora da TeamLab.

Ogni giorno si può vivere un’esperienza diversa. Ci sono diversi monitor e proiettori (e) le persone possono diventare parte dell’opera. Non ci sono confini e i confini stessi sono superati.

Takashi Kudo, communications director di teamLab

courtesy: teamLab

Il direttore della comunicazione di teamLab spiega poi meglio il suo pensiero: «Quando si crea qualcosa, i confini restano. Se dipingi un quadro, ad esempio, o se modelli una scultura, non puoi cambiarli. Ma con l’arte digitale si può sempre cambiare l’opera perché il mondo digitale, in realtà, non esiste».
E conclude: «Vogliamo davvero portare le persone all’interno delle nostre opere d’arte».

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