Un percorso espositivo a Londra in cui moda e racconto si intrecciano nel lavoro dei più noti stilisti indiani
Non solo fashion e design i temi che ci accompagnano nel ripercorrere la storia del Sari, un capo tradizionale per l’abbigliamento femminile in India e nell’Asia meridionale, oggi attivo nella ricerca di nuove forme e abbinamenti compositivi. Dall’iconico drappo in tessuto privo di cuciture, alle ultimissime sperimentazioni materializzate in panni innovativi e all’avanguardia, assemblate per usi nuovi che si aprono a molteplici occasioni e funzioni del quotidiano.
Accanto alle forme fluide e formali della tradizione la curiosità dei volumi contemporanei, segnati da pattern, colori e articolazioni insolite che svelano un uso diverso dell’abito: dall’elemento classico e usuale all’ultimissimo look del 21esimo secolo, dove l’indumento si carica di una accesa e dinamica identità capace di oltrepassare la mera estetica del passato e abbracciare ruoli infiniti.
The Offbeat Sari: il titolo del percorso espositivo al Design Museum di Londra, dove il Sari è protagonista. Un evento culturale dove la moda e il racconto si intrecciano, narrati dall’esposizione di oltre sessanta pionieristici esempi, firmati dai più noti stilisti indiani, tra i quali presenzia anche il primo Sari indossato al Met Gala del Moma di New York nel 2022, sottoscritto da Sabyasachi.
Transformations il tema conduttore della prima sezione in cui sfilano le creazioni di fashion designer contemporanei capaci di abbinare lo storico indumento a nuovi accessori e sviluppi. Momenti rivoluzionari per l’immagine e il design dei Sari “trasformati e smantellati”, secondo la descrizione dei curatori dell’evento, con l’ausilio di tele con sottili trame in acciaio insieme a prototipi realizzati attraverso il riuso di denim sdruciti, quale il modello di Diksha Khanna. In evidenza anche il lavoro di Abraham & Thakore, dove i drappeggi vengono ornati con paillette ritagliate da immagini di raggi x in disuso, provenienti da scarti ospedalieri.
Sari reinventati che in contrapposizione ai tipi del passato, ricchi di abbellimenti e decorazioni, appaiono meno ornati puntando sulla realizzazione di figure e dettagli distinti più consoni al mercato giovanile. Raw Mango e Akaaro i brand di New Dehli in prima linea per questo cambio di direzione. Modelli leggeri e tessuti a mano, dove si illustra una eccezionale interpretazione dei tessili della tradizione.
Etimologia del termine Sari, il significato di stoffa o striscia di panno, identificato come uno dei pezzi d’abbigliamento più riconoscibili culturalmente che da sempre leghiamo alle terre dell’Asia Meridionale e dell’India.
Luoghi in cui le molteplici caratteristiche del costume sono andate al di là della pura esteriorità riflettendo la classe sociale e l’identità dei fruitori, a fianco dei i loro gusti e ruoli a livello temporale e geografico. Un capo che negli ultimi decenni fu considerato come tradizionale e scomodo, soprattutto da parte dei giovani. In rilievo il periodo tra il 1960 e il 2000, in cui il Sari declinò la propria popolarità come veste per ogni giorno, rifiutato dalle ultime generazioni femminili poiché convenzionalmente associato con l’immagine della donna nello spazio domestico, il lusso di scomodi indumenti da cerimonia e con l’immagine di signore oggetto nella cinematografia popolare di Bollywood.
Ma in parallelo la nascita di un movimento femminile, spinto da un gruppo di rappresentati intellettuali, dinamico nel voler mutare il significato del Sari in una veste sinonimo di emancipazione femminile, capace di ispirare molteplici degli esempi che affollano la sala di Transformations a The Offbeat Sari insieme a video, grafici e diagrammi che presentano l’incredibile versatilità del capo, attualmente indossato in oltre 100 stili in India, con drappi che possono variare in lunghezza tra i 3.2 e gli 8.2 metri.
Identity and Resistance seguito da New Materialities, i motivi che animano le sale successive del percorso espositivo. Molteplici i caratteri che appaiono nella sezione legata all’identità. Un viaggio attraverso i quartieri contemporanei di Mumbai, Bangalore o Delhi con differenti street style su come indossare il Sari, portati informalmente con scarpe da ginnastica e t-shirt o con accessori eleganti. Forte l’immagine di capi adattati anche all’uso durante attività sportive o indossati durante movimenti di protesta come simbolo di unità. Un esempio i Sari indossati dalle appartenenti alla The Gulabi Gang e The Hargila Army durante le proteste nell’India rurale. In finale uno sguardo attento e dettagliato ai tessali con cui si modellano i Sari dell’ultima generazione, con le loro diverse strutture, colori e superfici legate all’ estesa creatività e al contributo degli artigiani. Prodotti fabbricati grazie alla collaborazione tra designer e fabbricanti, uniti per dar vita a tecniche nuove capaci di trasformare le composizioni del 21mo secolo. Suggestiva l’opera di Rimzim Dadu dove i moti scultorei del drappo nascono dall’unione attenta di sottilissimi fili d’orati in acciaio.
«Il Sari sta sentendo quella che è forse la sua più rapida reinvenzione nei suoi 5000 anni di storia. Fa dell’evoluzione del Sari una delle storie più importanti del mondo della moda, anche se al di fuori dall’Asia Meridionale non si conosce molto della sua essenza. Cittadine che prima associavano il Sari con il vestirsi elegante lo hanno trasformato in stili nuovi e radicali dell’abbigliamento quotidiano capaci di incoraggiarle nell’esprimere la loro personalità, mentre i designers danno vita a sperimentazioni con i suoi materiali dando vita a una creatività senza confini. Per me, come per molti altri, il Sari ha un significato personale e culturale, ma è anche un ricco e dinamico canovaccio per l’innovazione, che racchiude la vitalità e l’eclettismo della cultura indiana. Secondo la notizia del mese scorso, che conferma l’India come la nazione più popolosa del mondo, il valore del Paese nella cultura contemporanea è vasto e pone in primo piano la sua innegabile immaginazione e vivacità mentre riafferma la rilevanza del design dell’India su una scena globale», ha detto Priya Khanchandani, Head of Curatorial al Design Museum e curatrice di The Offbeat Sari.
In copertina: © Andy Stagg for the Design Museum
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