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La sfida del terzo settore: il valore delle relazioni umane per superare la paura

Due storie che spiegano il plus del sistema di aiuto “orizzontale” a Bologna e Milano, durante il lockdown


Il Coronavirus ha modificato le abitudini di molti cittadini e il modo di vivere la città. La paura del contagio ha portato a un’emergenza sociale, oltre che sanitaria ed economica. Solidarietà e fiducia nell’altro sono due delle leve principali per costruire il post, insieme alla valorizzazione dei servizi dedicati ai più bisognosi. Su questi temi si è concentrato il secondo appuntamento del ciclo di incontri: “Atlante dei territori – Paura/Solidarietà – La fiducia nelle città da ritrovare”, promosso dalla Fondazione Feltrinelli in collaborazione con DAStU – Politecnico di Milano e in partnership con Poste Italiane.


Partendo dal lavoro svolto da alcune realtà del terzo settore del Nord Italia, in primis Milano e Bologna, l’incontro ha acceso i riflettori sul tema dell’assistenza a soggetti in difficoltà economiche e sul ritrovato sistema di aiuto “orizzontale” tra gli abitanti, anche in grandi città.


Ma quale ruolo gioca la dimensione urbana? Quale futuro possibile? Lo ha spiegato nel corso dell’incontro il professor Alessandro Balducci del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano. «Durante questi mesi difficili – racconta Balducci – ci siamo riscoperti più solidali con i vicini, e capaci di organizzarci anche dal basso per rispondere all’emergenza. E sono convinto che le relazioni tra le persone dipendono soprattutto dall’assetto delle città: i tentativi di razionalizzazione e di disarticolazione territoriale hanno allontanato i servizi dai cittadini, concentrandoli in grandi zone commerciali; diventa quindi necessario riscoprire la vita di quartiere e il piccolo commercio, ma anche essere più attenti al valore delle relazioni orizzontali, che in momenti di crisi come questo legato alla pandemia ci permettono di essere più resilienti».

Alcune associazioni si sono distinte nel tempo del lockdown per essere riuscite a far sentire le persone più sole e marginalizzate parte di una comunità, riconoscendo l’esistenza di quei soggetti spesso “invisibili”, e al contempo hanno superato il concetto tradizionale di “carità”, creando relazioni umane e di mutualismo per affrontare insieme un periodo così lungo e delicato.

Nell’incontro organizzato dalla Fondazione Feltrinelli hanno partecipato alcuni rappresentanti della Brigata Lena-Modotti di Milano, associazione nata “di pancia” per volontà dei ragazzi del Collettivo Lambretta, che nei mesi di pandemia ha consegnato spese alimentari e di medicinali a senzatetto o a chi non poteva uscire di casa.
«Ci siamo resi subito conto che l’emergenza non era soltanto sanitaria, ma anche legata alla povertà: così sono stati creati progetti di aiuto a persone che già prima del Covid-19 erano in difficoltà economiche o che ci si sono ritrovate durante, dovendosi adattare a una situazione per loro completamente nuova. Abbiamo promosso raccolte di spesa solidale davanti ai supermercati – raccontano – aiutando circa 400 famiglie a settimana. Infine, sono stati coinvolti i Gruppi di Acquisto Solidale milanesi per sostenere sia i piccoli produttori penalizzati dalla quarantena, sia i cittadini, che in un periodo così difficile hanno potuto mantenere la qualità alimentare di ciò che hanno sempre comprato, promuovendo il piccolo commercio» commenta Federica Ceragioli, volontaria Lena-Modotti. «Nelle varie situazioni incontrate abbiamo compreso la necessità per le persone di sentirsi in relazione tra loro: anche gli stessi assistiti hanno chiesto come poterci aiutare. Si è sviluppato in questo senso un sistema di aiuto orizzontale, tra pari. Ora – continua Alessandra Vella, un’altra volontaria – spetta a noi come associazione e ai cittadini coltivarlo».

Cucine Popolari è invece un progetto nato a Bologna ben prima della pandemia, nel 2014, ma che ha registrato un boom di accessi durante i mesi di lockdown, racconta la Vicepresidente Paola Marani. «Le nostre mense per bisognosi sono diverse da quelle tradizionali e fortemente ancorate alle realtà dei quartieri: forniscono un servizio che va oltre il pasto, dando la possibilità di poter fruire dello spazio durante tutta la giornata e permettere agli ospiti di stare insieme, di socializzare. Per i nostri ospiti la mensa è un modo per incontrare a tavola altri individui residenti nel quartiere e ricreare quelle relazioni che determinate situazioni personali hanno fatto perdere».


Ciò che si cerca di fornire al cittadino in Cucine Popolari è quindi una dimensione solidale, di condivisione e di convivialità strettamente connessa al pasto.


Le mense, durante la pandemia, hanno triplicato in pochi giorni il numero dei pasti serviti, e molti sono stati i giovani che hanno deciso di aiutare, anche prendendo il posto dei volontari over 60, quella categoria considerata più “a rischio”.

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