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Spazio chiama Terra, incontro con Cristoforetti ed Ercoli Finzi, donne da record

L’evento al Museo Maxxi di Roma nell’ambito della mostra “Gravity. Immaginare l’universo dopo Einstein”


Cosa hanno rappresentato le missioni spaziali in passato e che valore hanno invece oggi? Quali saranno i prossimi step nel campo della ricerca aerospaziale? Potremmo davvero un giorno andare ad abitare su Marte? Lo spazio è da sempre un tema che affascina l’uomo, un argomento che a volte sembra precluso agli addetti ai lavori per via dei termini utilizzati per descriverlo e delle nozioni tecniche che lo riguardano. Non è così però, se chi abbiamo di fronte oltre ad essere un’importante figura nell’ambito della ricerca è anche un ottimo comunicatore, in grado di trasmettere passione, e informazioni sulla materia. È il caso dell’astronauta Samantha Cristoforetti e dell’ingegnere aerospaziale Amalia Ercoli Finzi, ospiti al museo MAXXI Arte di Roma il 10 aprile per l’evento Spazio Chiama Terra, nell’ambito della mostra “Gravity. Immaginare L’universo Dopo Einstein”.


Due donne da record: Cristoforetti, classe 1977, è la prima italiana ad essere diventata astronauta, mentre Ercoli Finzi, nata nel 1937, è la prima donna nel nostro Paese ad essersi laureata in Ingegneria Aerospaziale.


Lo spazio per loro? “Una grande risorsa – ha dichiarato Cristoforetti – oltre che a livello scientifico e tecnologico per le sperimentazioni che permette di fare, è un luogo prezioso per lo spirito umano, che permette di pensare a qualcosa che è molto più grande di te, un’area a cui tendere metaforicamente”.

Samantha Cristoforetti

L’universo “è l’ultimo modo che abbiamo per sognare – ha aggiunto Ercoli Finzi – è l’idea di immaginare qualcosa di immenso e di completamente diverso da noi”.

Se l’orbita bassa, dove si trova anche la Stazione Spaziale Internazionale (SSI), si può dire ormai “conquistata”, ora si guarda a Marte, anche se a detta delle due professioniste dovremmo aspettare ancora qualche decade per poter mettere piede sul pianeta rosso. “Il bambino che andrà su Marte è già nato – ha sentenziato Ercoli Finzi – ed entro la fine del 2040 dovremmo riuscire a mandare il primo equipaggio, anche se prima abbiamo alcuni problemi da risolvere: in primis le radiazioni. Attualmente un’impresa di due anni sul corpo celeste in questione ucciderebbe chiunque, ed è necessario quindi studiare un sistema per proteggerci da questi raggi. L’altro è imparare ad estrarre le risorse necessarie per vivere lì per tutto il tempo della missione. Non possiamo infatti pensare di portarci materia dalla Terra, perché costerebbe troppo”.

Per quanto riguarda la Luna invece, a quasi 50 anni dalla missione Apollo 11, si continuano a studiare tecnologie per poter ritornare sul satellite naturale: tra le difficoltà maggiori però c’è la realizzazione di strumenti di lancio e atterraggio, che richiedono enormi investimenti finanziari.

Amalia Ercoli Finzi ©Ingegneri.info

Una giornata tipo nello spazio? “Dopo la sveglia – ha raccontato Cristoforetti – tutto l’equipaggio partecipa alle daily planning conference, durante le quali il comandante della stazione spaziale chiama Houston, come primo centro di controllo, e si organizzano le attività della giornata. Poi si fa un giro del mondo, non solo fisico per via del continuo orbitare della stazione (si fa un giro della Terra ogni 90 minuti) ma virtuale: infatti la Stazione è controllata da vari centri. E così da Houston si passa ad Huntsville in Alabama dove c’è il Nasa Center che gestisce gli esperimenti americani in corso in orbita, poi si salta oltre l’Atlantico e si parla con Monaco, per il controllo del laboratorio dell’ESA a bordo della SSI. E ancora, ci si sposta in Giappone e infine a Mosca in Russia. Per il resto della giornata svolgiamo attività scientifiche, di manutenzione, ma anche sportive: ogni giorno infatti siamo obbligati ad allenarci per due ore per non far debilitare muscoli e ossa a causa dell’assenza di gravità. Grazie ai nuovi strumenti, siamo inoltre saltuariamente impegnati in momenti di comunicazione esterna con scuole, media, e altri canali divulgativi”.

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