Un report analizza l’evoluzione dei grandi hub internazionali e come questi affrontano le nuove sfide
Le città coprono circa il 2% della superficie terrestre, ospitano metà della popolazione mondiale e producono circa l’80% del Pil globale. Tre elementi che, da soli, restituiscono un’immagine più nitida circa la rilevanza a livello economico e di policy making dei centri urbani. Ancor di più quando si parla delle cosiddette Global Cities, ovvero gli hub del commercio, del turismo e della finanza internazionali come New York, Londra e Tokyo, per citarne alcuni. Non solo. Visto il crescente tasso di urbanizzazione, oltre a produrre ricchezza (e disuguaglianza), si tratta dei luoghi dove fenomeni ambientali e sociali, come il cambiamento climatico e le migrazioni, avranno un impatto sempre più deciso. A sottolinearlo è una pubblicazione dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) dal titolo “Il secolo delle città globali”, dove si sottolinea un altro dato: «ciò che avviene nei più importanti centri urbani si ripercuote ad un livello nazionale ed internazionale».
A riprova del peso delle città sullo scenario globale, c’è il loro inserimento nell’agenda dell’Onu per lo sviluppo sostenibile.
La capacità delle grandi città di dar vita a processi virtuosi di portata internazionale è evidente in particolare nell’ambito della lotta al riscaldamento globale. A fare scuola è il caso del gruppo “C40 cities”, network che rappresenta 94 città che producono un quarto del PIL mondiale, unite nello sviluppo e implementazione di un’economia sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale. Tuttavia, il report dell’ISPI suggerisce un altro fattore che evidenzia il sempre maggior potere delle global cities. Da un’analisi delle politiche attuate dalle varie amministrazioni, si nota come sempre più spesso queste si sviluppino in autonomia, quando non in contrapposizione, rispetto a quelle decise a livello governativo. Conseguenza diretta di questo processo sarà l’aumento progressivo della capacità di influenzare le policy dettate dalla comunità internazionale, scavalcando di fatto il livello nazionale.
Ma come nasce e come si mantiene lo status di global city?
Tre gli elementi fondamentali: infrastrutture moderne, punto di riferimento culturale e crescita economica data da un’elevata capacità di attrarre investimenti. Ma per rispondere a questa domanda con casi specifici, il report analizza due realtà che accendono un faro sulle diverse fasi evolutive che attraversano questi nuovi attori internazionali. Miami rappresenta una global city in espansione, abile nell’attrarre capitali umani e finanziari ma al tempo stesso alle prese con un deciso innalzamento dei prezzi delle abitazioni che rischia di snaturare il suo contesto abitativo. Parigi, invece, è da secoli uno dei primi hub globali, ciononostante si trova a dover affrontare sempre maggiori insidie derivate da fattori locali e globali come l’inquinamento, la crescita incontrollata del mercato immobiliare e il turismo di massa.
MIAMI
Con un’area metropolitana di oltre 6 milioni di abitanti e un continuo flusso di nuovi arrivi da Centro e Sud America, oltre che dal resto degli USA, la città è a tutti gli effetti una global city. Negli ultimi anni l’amministrazione ha avviato una transizione per trasformare l’area in un hub di innovazione tecnologica. Effetto immediato è stato l’innalzamento repentino nel numero di start-up, in particolare per la capacità di riferirsi alle popolazioni di lingua spagnola. Un’opportunità che le grandi aziende della Silicon Valley californiana, Uber in primis, non si sono lasciate sfuggire. Un ecosistema economico che ha attratto anche il SoftBank Group, il più grande fondo incentrato su investimenti in tecnologia e focalizzato sull’America Latina, che ha avviato un SoftBank Innovation Fund proprio a Miami finanziandolo con 5 miliardi di dollari.
Rilevante anche la crescente influenza di questa nuova global city nel mondo delle arti moderne e più in generale dell’intrattenimento, fattore chiave per attrarre milioni di turisti interessati alle spiagge, ma anche ad un’offerta più ampia. Infine, lato infrastrutture, non si deve dimenticare come lo snodo marittimo di PortMiami rappresenti uno dei principali di tutti gli Stati Uniti con un flusso di merci di oltre 7 milioni di tonnellate all’anno. Per dare un’idea, il primo porto italiano in questa classifica, quello di Trieste, supera di poco le 62mila tonnellate. Tutto ciò senza parlare del traffico di passeggeri che, in quella che viene chiamata la capitale mondiale delle crociere, ha raggiunto nel 2018 i 5,6 milioni di unità. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal rischio che questa transizione porti la popolazione residente a perdere sempre più potere d’acquisto, con un tasso di disuguaglianza fra i ceti più ricchi e quelli meno abbienti che è stato paragonato a quello della Colombia.
PARIGI
Quando si parla della capitale francese bisogna partire da un dato: con un PIL di 818 miliardi di dollari si tratta della quarta economia metropolitana al mondo (31% di quello nazionale). Diversamente da Miami, quindi, la ville lumière ricopre un ruolo centrale nel sistema economico statale. Come la città statunitense, però, si tratta di un centro che per ragioni storiche ha abbracciato da tempo la multiculturalità, anche se non senza difficoltà. Inoltre da secoli è meta di un turismo via via più di massa attratto sia dalle bellezze monumentali che dalla sua vivacità culturale, elementi che l’hanno resa una global city ante litteram. Detto questo, Parigi non è immune dagli effetti della globalizzazione e dalle nuove sfide dell’epoca contemporanea. Il costo della vita è in continuo aumento e la tassazione impatta in modo diverso sui diversi ceti sociali che ne compongono il tessuto urbano. Il rapporto sottolinea anche come i parigini facciano molto affidamento ai servizi pubblici ed al sistema di welfare in vigore, fattore da tenere in considerazione quando si parla di tagli alla spesa pubblica, anche considerando un tasso di disoccupazione che fluttua intorno al 10%.
Per l’amministrazione guidata da Anne Hidalgo, che ha lanciato ambiziosi progetti infrastrutturali come il cosiddetto “Gran Paris” e che si è resa protagonista di un certo attivismo nella lotta al cambiamento climatico, si renderanno presto necessarie nuove misure in ambito fiscale. Queste dovranno essere decise a livello governativo con l’obiettivo di far uscire dall’attuale stagnazione economica la capitale francese e farle così mantenere lo status di global city in una realtà internazionale sempre più globalizzata e ricca di sfide.
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