Fissato al 2020 il primo intervento che permetterà di inviare dati alla piattaforma attraverso un chip nel cervello
Connettere il cervello a Internet. Attraverso un chip millimetrico impiantato nel cranio. È questa l’ultima novità annunciata da Elon Musk, l’imprenditore “visionario, fondatore di Tesla, l’azienda divenuta in pochissimo tempo la “regina” dei veicoli elettrici e di SpaceX, la società per il trasporto spaziale che mira ai primi viaggi “turistici” oltre l’atmosfera terrestre.
La nuova avventura si chiama Neuralink. La startup, avviata nel 2016, è pronta dopo una serie di test e sperimentazioni ad entrare nel vivo della sua “missione”: consentire la comunicazione uomo-macchina attraverso comando “cerebrale”. Sembrerebbe fantascienza e invece è fissato al 2020 il primo intervento neurochirurgico per l’impianto di un’interfaccia neurale su un paziente paralitico che attraverso l’impianto di un micro-chip da appena 8 mm di spessore e cavi più sottili dei capelli umani – il tutto “iniettato” usando un ago da 24 micron – potrà attivare e disattivare funzioni semplicemente utilizzando il “pensiero”.
L’intervento, programmato per la fine del prossimo anno, è stato annunciato nel corso di un recente incontro presso la California Academy of Sciences di San Francisco dove Musk, insieme con Matthew MacDougall – neurochirurgo del California Pacific Medical Center di San Francisco nonché responsabile della neurochirurgia in Neuralink – ha mostrato, slide e documenti alla mano, il funzionamento del chip e le sue potenzialità in termini di “connettività”. L’intervento sarà effettuato da un robot – sotto la guida del neurochirurgo – per ridurre al minimo la possibilità di errore e di rischio per la salute del paziente. Il tutto previo via libera della Food and Drug Administration a cui è demandato il delicato compito di autorizzare il primo intervento di neurochirurgia “elettronica” nella storia della sanità. In un whitepaper pubblicato sul sito di Neuralink – liberamente fruibile da chiunque – sono stati già messi nero su bianco i risultati di una sperimentazione effettuata su un ratto che ha consentito di verificare l’invio di “dati” attraverso il chip e il corretto funzionamento della “piattaforma”.
Sull’impianto di chip nel corpo umano si stanno concentrando numerose startup e aziende a livello mondiale
A stimolarne la crescita anche l’avvento dei cosiddetti wearable device, dispositivi “indossabili”, e l’evoluzione delle micro-tecnologie che consentono di sperimentare nuovi utilizzi, compreso quello dei chip “sottopelle”. Secondo stime di alcuni mesi fa – ma al momento non esiste un sistema di rilevazione ad hoc – sarebbero oltre 10mila i “cyborg” a livello mondiale, ossia di esseri umani “dotati” di sensori. La Svezia sarebbe il Paese più “avanzato” su questo fronte: oltre 3mila i cittadini che si sarebbero fatti impiantare chip o addirittura se li sarebbero autoimpiantati (alcuni produttori forniscono kit sterili per l’auto-innesto al costo di circa 150 dollari). I chip vengono solitamente iniettati fra il pollice e l’indice e possono essere utilizzati per registrare informazioni personali relative all’identità, ma anche numero di carta di credito, tessera sanitaria e password. E le Ferrovie nazionali sono già in grado di “riconoscerli” al punto da consentire in automatico il pagamento dei ticket attraverso il “collegamento” con i sensori. Negli Stati Uniti l’azienda Three Square Market, offre una serie di servizi ai dipendenti che volontariamente decidono di farsi impiantare i chip: ad esempio, è possibile attivare il pagamento automatico ai distributori automatici di caffè e snack ma anche loggarsi al computer senza usare la tastiera.
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