Anche gli interni, realizzati da Frederick Tang Architecture, ricordano lo stile mediorientale con banchi curvilinei
Dietro Nabila’s, il nuovo ristorante libanese aperto nel cuore di Brooklyn, c’è una storia intessuta di passioni, contaminazioni, generosità, senso della comunità, oltre che di abilità ai fornelli. Nabila – oggi cuoca, madre e imprenditrice – è una donna nata e cresciuta a Beirut che, allo scoppiare della guerra civile, decide di portare in salvo la sua famiglia e, dopo aver vissuto in diversi luoghi, approda negli Stati Uniti dove comincia una nuova vita. Forte di quanto appreso nelle cucine della mamma e della nonna, dove deliziosi profumi erano all’ordine del giorno, comincia a organizzare generose cene che la avvicinano alla comunità nella quale vive e confermano le sue doti culinarie. Quando il testimone di nozze del figlio Mike sarà chiamato a pronunciare il discorso di rito, metà del suo pensiero sarà rivolto alle bontà messe in tavola da Nabila. E non sarà l’unico a elogiarle. La notorietà della donna comincia a diffondersi fra le persone, fino a quando lei decide di cimentarsi con una vera e propria attività imprenditoriale aprendo un catering a Washington. Il successo sarà grande, e lo è ancora dopo venti anni.
Nel frattempo anche Mike comincia a fare carriera e diventa analista e investitore di Wall Street. Ama il suo lavoro, ma al tempo stesso sogna di rendere concreta la passione di aprire un ristorante. E così, dopo quindici anni, decide di dare seguito al suo sogno aprendo Nabila’s, dedicato ovviamente alla madre e alla sua capacità di creare comunità intorno il cibo. Non è un caso che Nabila’s sia nato come un locale di quartiere e per il quartiere. «Il mio precedente lavoro mi piaceva molto, ma il clima che si respirava nel tempo mi ha stancato. Negli ultimi dieci anni, fra l’altro, sognavo di aprire un ristorante. Sentivo che il rischio più grande era ritardare all’infinito la sua realizzazione. Sapevo che me ne sarei pentito. E alla fine ho deciso di concretizzare il mio sogno», racconta Mike Farah a Pantografo, e continua: «Ho lasciato la mia carriera nella finanza per dare voce ai miei desideri, certamente non per denaro! L’ho fatto perché era l’occasione per costruire qualcosa che mettesse insieme molte delle mie passioni: la cucina libanese di mia madre, i ristoranti e la mia comunità a Brooklyn.»
Oggi Nabila’s è quindi prima di tutto la realizzazione di un sogno e di una passione, oltre che un gioioso tributo a una madre speciale. Lei, partner del progetto, è chiaramente l’executive chef, lui, proprietario, gestisce il ristorante. Di giorno trascorre il suo tempo con il team di cucina, di sera è impegnato in prima persona nelle due sale.
Se la storia di Nabila’s è coinvolgente, succulento è quanto l’avventore si trova nel piatto. Un tripudio di colori, profumi, spezie caratterizza le pietanze presenti nel menu, esposte nel bancone all’ingresso del ristorante. Fra queste, alcune sono più conosciute, come l’hummus, il kibbeh e il tabbouleh, altre meno perché è più facile assaggiarle nelle case libanesi che all’interno dei ristoranti. Fra queste il Mouhammara, la ricetta segreta di Nabila, l’Harak Osbao, il Soulful loubieh, lo Sheesh barak. Il menu cambia regolarmente, con diverse specialità a rotazione. Il Warak enab bil lahme (foglie di vite dell’uva) di Nabila è una di queste: un trionfo di foglie d’uva arrotolate ripiene di carne macinata e riso, brasate per diverse ore, capovolte su un piatto da portata e servite calde come antipasto con un contorno di yogurt della casa. Un altro piatto forte è il dessert Knafeh ashta: un involucro di pasta filo all’interno del quale si trova la crema pasticcera libanese con acqua di fiori d’arancio. Gli ospiti possono anche acquistare una serie di prelibatezze provenienti direttamente da piccoli produttori locali libanesi.
Nabila crede nei sapori forti, la sua cucina è ricca di sentimento, oltre a essere casalinga.
«Niente pinzette, niente di troppo prezioso», spiega Mike. Le sue pietanze derivano dalla tradizionale libanese, e prevedono anche contaminazioni con i sapori palestinesi, che Nabila conosce bene perché quella è la terra dei suoi genitori. In cucina troviamo Luis Ahuet, chef di origine messicana. È nato a Veracruz, una regione del Golfo del Messico con una forte comunità mediorientale di cui faceva parte la sua famiglia. Prima di approdare nella cucina di Nabila’s, ha iniziato come sgusciatore di ostriche arrivando poi a lavorare come cuoco in alcuni dei ristoranti più interessanti di New York, alcuni anche stellati.
Abbiamo chiesto a Mike quale sia il suo modello di business: «Non è di tipo tradizionale – ha precisato –. Quando gli ospiti entrano possono osservare tutti i piatti che prepariamo sul nostro bancone. È concepito per richiamare le cene con le quali Nabila si è fatta conoscere nella sua comunità. Prestiamo molta cura affinché sia un’esperienza visiva appagante per i nostri ospiti, i quali ordinano al bancone e cercano un tavolo. A quel punto arriviamo noi con tutti i piatti che hanno scelto».
Mike le ha pensate tutte affinché il nuovo ristorante parli di Libano. Con grande intuito si è rivolto a Frederick Tang Architecture per dare vita a un luogo capace di trasmettere la giusta atmosfera. E così il progetto di interni, che trova nella semplicità la chiave della sua eleganza, punta a interpretare con delicatezza le radici libanesi di Mike e Nabila.
Appena varcato l’ingresso si entra subito in contatto con il cuore pulsante del ristorante: il lungo bancone che espone tutte le pietanze e attraverso il quale avviene l’interazione fra il personale e la comunità. Attingendo liberamente da motivi architettonici mediorientali, i progettisti hanno disegnato una forma curvilinea per il bancone che richiama quella di una serie di archi, ognuno dei quali ha una precisa funzione. Verso le vetrine del negozio, per esempio, due archi incassati ospitano altrettante nicchie dotate di tavoli e sedie. Altri contengono scaffalature per esporre i prodotti alimentari in vendita.
Le finiture alludono all’arte e all’architettura libanesi, come i motivi floreali che caratterizzano le nicchie, per esempio. Una tavolozza di colori ispirata agli ortaggi che si trovano nella cucina del ristorante (composta in particolare dal viola melanzana e dal verde delle insalate), insieme alla tonalità crema, completa i dettagli. «Siamo stati influenzati dalla ricchezza dei dettagli e dall’uso del colore nelle arti decorative tradizionali mediorientali e abbiamo voluto creare delle interazioni fra le trame della carta da parati, i motivi delle piastrelle e i colori della pittura», spiega Barbara Reyes di Frederick Tang Architecture.
Appena oltre il bancone si trova la cucina, visibile attraverso una nuova parete in vetrocemento la cui trama richiama la scanalatura del bancone. Oltre la cucina si apre un’altra sala molto luminosa – caratterizzata da panche, parquet, altri mobili espositori, ricche modanature – che può funzionare anche come spazio per eventi. A collegare gli ambienti è un corridoio dove spicca una carta da parati che riproduce una cascata di vegetazione. «I nostri progetti preferiti sono quelli che si muovono all’interno di contesti storici, nei quali possiamo creare un dialogo fra elementi nuovi e altri del passato – spiega Frederick Tang –. Ci è piaciuto giocare con alcuni dettagli originali e inventarne di nuovi creando l’occasione per un rapporto di interazione».
In copertina: Nabila’s, New York. Progetto: Frederick Tang Architecture. (Foto: Gieves Anderson)
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