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La mappa dell’abitare per immaginare città non sradicate

Ascoltando i migranti, introducendo nuovi linguaggi non codificati dell’urbanistica


C’è la mappa di Kairucca dell’Afghanistan che racconta una città fatta di percorsi, ma c’è anche quella del filippino Voltaire, che commenta i suoi luoghi dell’abitare. Mappe su mappe che parlano dello sradicamento come condizione di fragilità e che dischiudono ogni possibilità di rivalsa. Sovvertire alcuni fondamenti della disciplina urbanistica, ci darà un’occasione per una diversa condizione? “La città sradicata” scritto da Nausicaa Pezzoni – docente di progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, architetta di Città Metropolitana di Milano – per Obarrao Edizioni, racconta una strada possibile. Una polis inclusiva, ma anche la costruzione di un ponte tra la cultura laica e la cultura cristiana dell’accoglienza.

Stazione Centrale Milano. Ph. © Ilaria de Bona via Unsplash

Un luogo della convivenza e dell’uguaglianza, aprendo lo spazio del possibile. Il tema è quello dell’abitare, ma c’è pure la necessità della costruzione di un piano culturale. L’approccio del libro è interdisciplinare.


«L’esperimento che racconto è stato chiedere ai migranti, al primo approdo, di disegnare una mappa della città. È un esperimento che introduce nuovi linguaggi non codificati dall’urbanistica, quindi l’urbanistica deve dialogare con gli altri saperi».


Milano (Ako, Togo). Cortesia © O barra O

«La città è sempre più transitoria, da un abitare in movimento che distingue la contemporaneità. Sono partita dall’ipotesi – dice la studiosa Pezzoni – che la città che vogliamo costruire non può prescindere da questo progetto culturale, dalle presentazioni che ciascun abitante può apportare. Ho iniziato dall’osservazione di spazi trasformati da migranti dove anche io mi sono sentita straniera. Spazi reinventati. Come Stazione Centrale dove la domenica mattina c’è una vita fatta di identità strappate, radici lontane, danze e balli, scambi di abiti e di lettere, in cui mi sono sentita “fuori” anche io. Oppure il parcheggio di Cascina Gobba che nel fine settimana si anima di un mercato per popolazioni dell’est, con i parrucchieri tutti in fila. Ovviamente i migranti sono la popolazione più estranea dal concetto di città e spesso si osservano anche situazioni di estrema emergenza, come lo Scalo di Porta Romana, zona di primo arrivo».

Ph. cortesia © O barra O

Queste sono nuove forme di città. E questa città ha bisogno di nuovi strumenti di lavoro, nuove descrizioni non presenti sulle carte tecniche. «Per farlo ho posto delle domande ai migranti appena arrivati, per capire quale è la relazione con lo spazio urbano, lo sguardo più estraneo. Questioni che derivano dalla ricerca di un importante urbanistica, Kevin Lynch e dal suo testo “L’immagine della città”. Sono partita da una trasposizione dei cinque elementi lynchiani: i riferimenti, gli spazi dell’abitare, i percorsi, i nodi e i confini. Sulla base di queste cinque quesiti avveniva la realizzazione della mappa».
Nelle mappe ci sono i punti di vita, le tappe essenziali delle giornate: la Caritas, gli Scali, il circuito della 90 e 91, i luoghi da evitare come quelli “troppo frequentati da stranieri”, scrive un intervistato. Poi ci sono le ricerche dei luoghi: il luogo del lavoro, del dormire, del mangiare.
Ho intervistato anche gli studenti stranieri, appena arrivati. E la percezione e i luoghi segnalati sono diversi, ma ci sono anche gli stessi luoghi che però si caricano di significati differenti a seconda di chi li abita». Poi c’è la città del primo approdo. Una mappa dei servizi che la città già offre.


Ne viene fuori che ad essere messo in discussione è proprio il concetto di abitabilità, di tutte le città di approdo e non solo Milano, partendo da Sud. O da un altro punto di vista: l’improbabilità dell’approdo. Con relazione dell’altro, l’incontro con l’altro. Sono mappe che svelano il vissuto e il senso della vita, come abitare i luoghi, appunto


Bologna (Mamadou, Mali). Cortesia © O barra O

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In copertina: parco del Portello, Milano – ph. © Rodrigo Kugnharski via Unsplash

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