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World Press Freedom Index 2020, la libertà di stampa nel mondo

Pubblicati i dati del rapporto annuale di Reporters Sans Frontières


Tempi duri per la libertà di stampa mondiale. L’emergenza Coronavirus ha portato i nodi al pettine delle criticità già in atto da tempo. E il dilagare delle fake news non è che la punta dell’iceberg delle difficoltà del giornalismo di farsi garante dell’indipendenza e della democrazia. È quanto emerge dall’edizione 2020 del “World Press Freedom Index”, il rapporto annuale di Reporters Sans Frontières (Rsf) che fa il punto sullo stato del giornalismo in 180 Paesi.

Stiamo entrando in un decennio decisivo per il giornalismo legato a crisi che incidono sul futuro

Christophe Deloire

È un’edizione speciale quella del 2020: «Stiamo entrando in un decennio decisivo per il giornalismo legato a crisi che incidono sul futuro – sottolinea il segretario generale di Rsf Christophe Deloire – La pandemia mostra i fattori negativi che minacciano il diritto a informazioni affidabili ed è essa stessa un fattore esacerbante».

Dal report emerge infatti una chiara correlazione tra la limitazione della libertà dei media e la pandemia da Coronavirus: Cina e Iran hanno ampiamente censurato i loro maggiori focolai – si legge nel report – e in Iraq le autorità hanno revocato la licenza a Reuters per tre mesi dopo la pubblicazione di un’inchiesta in cui venivano messe in discussione le cifre ufficiali sulla pandemia.

© Reporters without borders

E in Europa, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha approvato una legge sul Coronavirus con pene detentive fino a 5 anni per false informazioni, misura sproporzionata e coercitiva, evidenzia Rsf. Riguardo alla classifica della libertà di informazione, la Norvegia è in testa all’Indice per il quarto anno consecutivo, seguita da Finlandia e Danimarca. Al quarto e quinto posto Svezia e Paesi Bassi. Buone notizie per l’Italia che guadagna due posizioni passando dal 43mo al 41mo posto, ma decisamente non siamo fra i primi della classe: circa 20 giornalisti italiani sotto scorta a causa di gravi minacce o tentativi di omicidio da parte della mafia – si legge nella scheda relativa al nostro Paese –.

Scheda Italia

Il livello di violenza contro i giornalisti continua a crescere, soprattutto a Roma e nella regione circostante, e nel Sud. «Nel complesso, i politici italiani sono meno virulenti nei confronti dei giornalisti rispetto al passato, ma il giornalismo rischia di essere indebolito da alcune recenti decisioni del governo, come una possibile riduzione dei sussidi statali per i media».

All’altra estremità dell’Indice pochi cambiamenti: ultima classificata, in 180ma posizione, la Corea del Nord – era penultima un anno fa – preceduta da Turkmenistan ed Eritrea, il paese con il peggior ranking dell’Africa. L’Europa continua ad essere il Continente in cui la libertà dei media è maggiormente garantita – al netto di alcune specifiche situazioni a livello Ue e nell’area dei Balcani – seguita dall’America, anche se, evidenzia il report, Stati Uniti e Brasile, stanno diventando “modelli di ostilità” nei confronti dei media.

Anche l’Africa, al terzo posto, ha registrato grosse inversioni di tendenza soprattutto sotto forma di detenzione arbitraria prolungata e attacchi online. Ma è la regione dell’Asia-Pacifico a contare il maggiore aumento delle violazioni della libertà di stampa. E anche in Australia – considerata un’eccezione nell’area – crescono le minacce alla riservatezza delle fonti e al giornalismo investigativo.


Altri due paesi hanno poi contribuito in modo significativo a far retrocedere la regione: Singapore e Hong Kong.


La regione dell’Europa orientale/Asia centrale ha mantenuto il penultimo posto nella classifica regionale, mentre il Medio Oriente e il Nord Africa continuano a essere le aree più pericolose al mondo per i giornalisti. La recente detenzione del corrispondente di Rsf in Algeria – si legge nel report – ha mostrato come le autorità di alcuni paesi abbiano approfittato della pandemia Covid 19 per regolare i conti con giornalisti indipendenti.

Se sul fronte geopolitico la principale minaccia è rappresentata dai regimi dittatoriali, autoritari o populisti, su quello tecnologico l’assenza di una regolamentazione adeguata nell’era della comunicazione digitalizzata e globalizzata ha creato un vero e proprio caos informativo. L’ostilità e persino l’odio nei confronti dei giornalisti sono in crescita da un paio d’anni a questa parte, ma l’edizione 2020 del report mostra un netto balzo in avanti.

Ranking diviso per regione

«Si registrano atti di violenza fisica più gravi e frequenti. I politici di spicco e quelli a loro vicini continuano a fomentare apertamente l’odio nei confronti dei giornalisti. I presidenti democraticamente eletti di due paesi, Donald Trump negli Stati Uniti e Jair Bolsonaro in Brasile continuano a denigrare i media e incoraggiare l’odio nei confronti dei giornalisti nei rispettivi paesi».
In aumento anche la diffidenza nei confronti dei media: secondo l’Edelman Trust Barometer il 57% delle persone intervistate ritiene che i media siano contaminati da informazioni inaffidabili.

Last but not least la crisi dell’editoria innescata dalla trasformazione digitale: il calo delle vendite, il crollo delle entrate pubblicitarie e l’aumento dei costi di produzione e distribuzione legati soprattutto all’aumento del prezzo delle materie prime hanno costretto molte organizzazioni a tagliare risorse e licenziare i giornalisti. Negli Stati Uniti, ad esempio, la metà dei posti di lavoro nei media è andata perduta negli ultimi dieci anni. E ciò ha conseguenze sociali e un impatto sulla libertà editoriale: i giornali che si trovano in una situazione economica molto più debole sono evidentemente meno in grado di resistere a pressioni.

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