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Le fragilità urbane si curano facendo comunità. Ecco la Portineria di Torino

Welfare in città. Il progetto dell’ex edicola di Porta Palazzo fa scuola


Immagine tratta da Facebook ©Lo spaccio di Cultura – Portineria di Comunità

«Bene, sta andando molto bene, oltre le aspettative. Il lavoro sta crescendo» così Antonio Damasco, direttore della Rete italiana di cultura popolare, ideatrice e curatrice del progetto Lo spaccio di cultura – Portineria di Comunità in piazza della Repubblica a Torino. Un’iniziativa partita il 9 luglio 2020, nell’annus horribilis della pandemia da Covid 19, e che non ha mai chiuso, nemmeno durante il secondo lockdown. Anzi, continua Damasco, «ha ricevuto il benestare della protezione civile per i lavori di prossimità che svolge, come la spesa a domicilio e la fila alle poste». Sì, perché questi sono solo alcuni dei servizi che questo “moderno” portierato, che “abita” in una ex edicola di Porta Palazzo svolge, che vanno dal babysitting al ricevimento dei pacchi (come vere portinerie), fino supporto per il cambio del medico, alla gestione delle pratiche all’anagrafe e alle attività per i bambini. Un’iniziativa il cui alto valore sociale e culturale è stato riconosciuto anche dal Comune, prima attraverso l’inserimento della Portineria tra i 15 progetti di innovazione sociale sostenuti dalla città attraverso il Pon Metro (Programma operativo nazionale Città Metropolitane) finanziato dall’Unione Europea per le realtà attivatrici di rigenerazione urbana e inclusione sociale, e poi con l’approvazione del Patto di collaborazione da parte della Giunta cittadina nei giorni scorsi. Un accordo che permetterà alla Rete italiana di cultura popolare, insieme agli partner del progetto, tra i quali Ctrl Community – Ctrl Com, la diocesi nella figura della Pastorale Migranti e Nessuno è straniero, di avere l’uso gratuito l’edicola per altri 3 anni.


La Portineria non nasce solo per rispondere ai bisogni immediati scatenanti dalla pandemia, in realtà è un progetto che viene da lontano, con lo scopo di rivolgersi alle fasce più fragili della cittadinanza.


«Per aprire quell’edicola ci abbiamo messo un anno e mezzo – spiega Damasco – e ancor prima di questo c’è stato un dialogo con la cittadinanza. Se apriamo, abbiamo detto, la responsabilità è di tutti». È per questo, forse, che la Portineria può già contare su 200 “abitanti” registrati, che con una cifra simbolica di 10 euro all’anno possono usufruire di alcuni dei servizi offerti. Ma che, soprattutto, «dà un’idea di appartenenza». La questione, però, è anche un’altra.

«Il tema è chi stiamo facendo lavorare. In altre parole, persone che non avevano o hanno più lavoro, che mettono a disposizione le loro competenze a servizio degli altri – continua – Al momento abbiamo 6 persone continuative e un’altra ventina che vengono contattate a chiamata». Così si attivano anche risorse, si creano reti, si consolidano comunità, oltre a ridare dignità alle persone e rigenerare il territorio.

Immagine tratta da Facebook ©Lo spaccio di Cultura – Portineria di Comunità

Il tutto si inserisce nell’ambito del Portale dei saperi, definito dal direttore un grande “attivatore di comunità”, che ha iniziato una mappatura del tessuto produttivo, dagli artigiani ai commercianti, del quartiere Aurora, un’area di Torino multietnica e confinante con Porta Palazzo e oggi in rapida trasformazione – qui si trovano la Nuvola Lavazza di Cino Zucchi, la sede dell’Università e, presto, anche il nuovo The Student Hotel progettato da Tectoo – grazie al sostegno di Lavazza e della Fondazione Crt. «Mappiamo la parte più fragile della popolazione, dai neet agli adulti, e proviamo a costruire dei matching tra gli abitanti». Commercianti come quelli di Porta Palazzo che, durante il secondo lockdown, hanno stretto un accordo con la Portineria per creare un gruppo di acquisto solidale. «Hanno accettato condizioni economiche più basse rispetto ai supermercati, ma così non dovevano più andare a consegnare la spesa a domicilio» racconta ancora Damasco.

Il successo dell’iniziativa ha spinto altre realtà torinesi a rivolgersi alla Rete per replicare il progetto in altre zone della città.«Siamo in contatto con le Ogr per la zona di Borgo San Paolo e con Beeozanam a Borgo Vittoria e Madonna di Campagna, per vedere se far partire delle portinerie anche lì». Due quartieri periferici, uno a ovest e uno a nord del centro, che forse non sono immediatamente associati al melting pot di Porta Palazzo nell’immaginario collettivo, ma che invece sono caratterizzati da problematiche simili, come per esempio la solitudine degli abitanti.

Il successo della nostra iniziativa testimonia che c’è un bisogno incredibile fuori, che è un progetto che fondamentalmente “ricuce”. Le persone che vengono a lavorare riconquistano la loro dignità, e in questo modo si restituisce anche una modalità di fare comunità.

Antonio Damasco, direttore Rete italiana di cultura popolare

E se c’è qualcosa che la pandemia ha fatto emergere è che le reti funzionano. «Il terzo settore è fondamentale – dice – ancor di più in quest’anno terribile della pandemia, dove si è scoperto che c’è anche un tipo di terzo settore che ha funzionato e ha lavorato di più». Tuttavia, il sostegno del pubblico latita. Infatti, il patto di collaborazione non prevede lo stanziamento o l’erogazione di fondi da parte della Città alle associazioni coinvolte, nonostante formalmente ne riconosca il valore aggiunto. Una lacuna che quindi deve essere colmata dal privato. «Se il pubblico non ce la fa a sostenere un certo tipo di welfare – conclude il direttore – il terzo settore deve essere sostenuto da un’altra parte». Fino a che non si arriverà alla sostenibilità economica del progetto, che però, per il suo stesso carattere sociale, necessiterà sempre di un contributo dall’esterno.

Portineria di comunità_Sow ©Spaccio cultura

Immagine di copertina: Piazza della Repubblica, Torino ©panoramio per Wikimedia Commons

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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