Un metodo antico ripreso dalle aziende di agricoltura del nord Italia per proteggere vigneti e frutteti
La grande incertezza metereologica degli ultimi anni mette sempre più a rischio le coltivazioni agricole. Se il primo pensiero che viene in mente è quello relativo alla siccità, da qualche tempo sta tornando alla ribalta il problema delle gelate primaverili che facendo ghiacciare la brina mattutina, rischiano di “bruciare” i germogli e, di conseguenza, azzerare i raccolti.
Per ovviare a questo problema gli agricoltori, da una quindicina di anni, hanno ripreso ad utilizzare un metodo antico quello dei “fuochi antigelo”: ovvero l’accensione di innumerevoli fiaccole, candele e falò lungo i filari delle vigne e all’interno dei frutteti. Negli anni, grazie al progresso, questa pratica era andata via via a scomparire, sostituita dai più moderni sistemi antibrina, particolari strumenti di irrigazione che portano alla formazione di un giubbino termico protettivo di ghiaccio attorno a gemme, foglie, frutti, in questo modo intorno alle parti più delicate di una pianta si mantiene una temperatura prossima allo zero.
Più nello specifico, con questo sistema quando la colonnina di mercurio scende di molto sotto lo zero, per evitare che geli l’interno delle foglie e dei germogli si cospargono le piantagioni di acqua. A quel punto i boccioli vengono ricoperti da un sottile strato di ghiaccio che produce un effetto coperta, che permette di limitare i danni alle coltivazioni; il problema si manifesta soprattutto quando il freddo arriva tra la fine di marzo ed i primi di aprile e la temperatura scende al di sotto dei quattro gradi sottozero. Si tratta di una tecnica efficace, ma rischiosa perché se il peso della coltre ghiacciata che si viene a creare fosse troppo spessa, si potrebbe arrivare alla rottura dei rami.
Ecco quindi che negli ultimi anni si sta assistendo in alcune zone del nord Italia ad un ritorno al passato, ad esempio alla tecnica delle “candele antigelo”, ovvero dei piccoli bidoni riempiti di cera paraffinica; un sistema utilizzato in particolare nelle vigne, specie in Francia, dove è molto diffuso nella Loira e in Borgogna nella regione dello Chablis. In Italia questo metodo è utilizzato nella zona di Montalcino per i vigneti del Brunello, ma anche in Piemonte per tutelare quelli delle Langhe, le coltivazioni di pesche, albicocche e kiwi del cuneese e gli asparagi nella zona tra Santena e Poirino.
Ovviamente questo tipo di intervento necessita di un numero considerevole di elementi riscaldanti, il che rende obbligatoria una valutazione sul rapporto costi/benefici. I “vigneron” francesi utilizzano circa 500 candele per ettaro, che costano otto euro ciascuna: l’investimento è quindi dell’ordine dei 4mila euro per ettaro, ogni notte. Molto più spesso quindi gli agricoltori, anche per contenere i costi, preferiscono utilizzare piccoli bracieri nei quali vengono messi paglia, tralci secchi o legna.
In Trentino, invece, i coltivatori, per tutelare i raccolti di ciliegie, particolarmente sensibili al freddo, ed albicocche utilizzano il pellet il cui costo si aggira intorno ai 1.000/1.200 euro per ettaro a notte, cifra più contenuta finalizzata a tutelare il raccolto annuo; inoltre proprio per contenere la spesa e non andare ad incidere troppo sul prezzo di vendita questa tecnica viene utilizzata solamente in caso di estrema necessità come ad esempio quando lo scorso anno si dovette fronteggiare una gelata di ben 13 ore.
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