Cosa insegna il modello Barcellona sulla gestione dei dati, sulla partecipazione e sui modelli predittivi
Sostenibilità, micro-mobilità, tecnologia e innovazione: potrebbero essere questi i quattro principali indicatori per analizzare la qualità della vita delle nostre città nel futuro post-pandemico. Sono infatti le province medie italiane, rispetto ai grandi centri urbani, ad aver retto meglio l’impatto del Covid 19, soprattutto quelle dell’Emilia-Romagna. E anche dal Sud arrivano timidi segnali positivi, per esempio nel settore della digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione e nel settore demografia e salute, anche per il fatto che il virus è arrivato più tardi e con un impatto minore. Sono questi in sintesi gli esiti della ricerca del Sole 24 Ore sulla qualità della vita, un report che il quotidiano economico nazionale redige da oltre 30 anni, e che quest’anno ha fotografato un’Italia profondamente colpita dalla pandemia.
Evidente la sofferenza di Roma, Milano, Napoli e Firenze, colpite anche dalla crisi del turismo, dove aumentano i tassi di povertà – +40% di richieste di erogazione di reddito di cittadinanza a Milano tra gennaio e agosto, a fronte di un +8% di una città media come Pordenone – e da un forte calo del Pil pro capite (-10% a Milano contro il -7,6% su scala nazionale). Stessa fotografia per le altre province lombarde, le zone più colpite dalla pandemia e che solitamente si trovavano ai primi posti di tutti gli indicatori, con Bergamo in testa per il tasso di mortalità: +76% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In cima al podio c’è invece Bologna, seguita da Bolzano a Trento.
Importante sottolineare anche il dato sulle aspettative degli abitanti dei grandi centri urbani, dal quale emerge che, se fino all’anno scorso il 60% degli intervistati non aveva nessuna intenzione di trasferirsi in centri più piccoli, con l’avvento della pandemia e dei conseguenti lockdown, oggi più del 50% risponde di voler abbandonare le città. Un segnale importante, che conferma i dibattiti degli ultimi mesi, soprattutto nell’ambito dell’architettura e dell’urbanistica: richieste di case di maggiore metratura, aumento degli spazi verdi e, con il consolidamento strutturale dello smart working, proposte per soluzioni ibride casa-ufficio.
Ma quali potranno essere le soluzioni che le città potranno adottare per superare questa crisi? Francesca Bria, già assessore alle tecnologie e all’innovazione digitale di Barcellona a fianco della sindaca Ada Colau, oggi Presidente del Fondo nazionale innovazione, nel suo intervento alla tavola rotonda organizzata dal quotidiano di via Monte Rosa, ha sottolineato quanto sarà fondamentale ripensare i centri urbani del futuro. «Siamo di fronte ad un paradosso – dice – le città sono le più colpite e allo stesso tempo hanno difficoltà finanziarie per far fronte al post-pandemia. Sono convinta che la questione vada presa molto seriamente – continua – perché le città, data la loro capacità di realizzare i progetti sui territori (penso per esempio al recovery fund come opportunità di rimetterli in moto), possono fare in modo che questi abbiano una ricaduta concreta sulla vita di tutti i giorni dei cittadini. Ma anche per la loro agilità e la prossimità con i cittadini – conclude – le città devono diventare il motore della ripresa del nostro Paese».
Non solo centri urbani singoli, atomi scollegati tra loro, ma la chiave del futuro sarà costruire una rete di città a livello globale (si pensi solo alla C40, lega dei sindaci di tutto il mondo del quale Milano è parte), all’avanguardia nella progettualità e nella proposta di modelli urbani più sostenibili. Progetti come quello dei “superblocchi” di Barcellona, grazie al quale, ha spiegato la Bria, è stato riconquistato il 60% dello spazio pubblico, riducendo fortemente i livelli di Co2 e favorendo una mobilità più sostenibile. Tuttavia, interventi come questi, che hanno un grande impatto sulla vita e le abitudini degli abitanti, «sono sperimentazioni e processi complessi, che necessitano di una visione a lungo periodo e dove vanno trovate dinamiche di consenso con i vari stakeholder». Quale sarà quindi il ruolo della tecnologia in questi processi trasformativi?
«Per operare queste grosse trasformazioni, la tecnologia gioca un fortissimo ruolo, abbiamo bisogno di connettività pervasiva nelle nostre città – continua –. Vista anche la questione pandemica, si andrà sempre di più verso un modello di smart city che, come indica anche Stefano Boeri, sarà una rete decentralizzata, in cui si ridurranno anche le disuguaglianze tra centri urbani, borghi e aree interne, tra nord e sud. Probabilmente avremo bisogno di un modello proprio in Italia per concepire questa nuova connettività».
Ma qual è il confine tra tecnologia e interesse pubblico? Secondo la Presidente, la risposta non va cercata nel mero «soluzionismo tecnologico». Il punto di partenza devono sempre essere le persone con i loro diritti, per esempio il diritto alla casa, a vivere in luoghi sani, sostenibili, dove si combatte contro il cambiamento climatico, e dove la partecipazione attiva sia coadiuvata dalla tecnologia, piuttosto che il contrario. Le smart city quindi saranno luoghi ibridi, spiega la Bria, dove la partecipazione avverrà sia a partire dal territorio che dalla rete.
«La smart city non è una città iper-tecnologica – precisa ancora – ma significa progettare insieme la città del futuro, che ci permette di mettere al centro le vere sfide che stiamo affrontando e migliorare la vita dei cittadini».
Questo, anche attraverso i nuovi strumenti digitali, come a Barcellona, dove la piattaforma “Decidim Barcelona” ha raccolto istanze, proposte e idee di 400mila cittadini, delle quali il 70% si sono tradotte in azioni legislative da parte dell’amministrazione comunale. Ma senza infrastrutture questa trasformazione epocale non sarà possibile. E dovranno essere infrastrutture che possano gestire, in modo trasparente e nel mantenimento della privacy, l’enorme quantità di dati provenienti dai sensori e dai dispositivi che oggi sono posizionati nelle nostre città, in maniera a volte anche pervasiva. «Questa è una vera e propria infrastruttura pubblica, come l’aria, l’elettricità, l’acqua, e che va gestita nell’interesse pubblico e per creare innovazione» aggiunge.
Cloud, data lake, 5G, smart grid, elettrificazione, intelligenza artificiale saranno gli strumenti che permetteranno di creare nuovi modelli predittivi per prendere decisioni maniera a livello di amministrazioni pubbliche, e che poi potranno essere condivisi con cittadini, media e stakeholder per creare servizi data-driven, per esempio nei trasporti e nella sanità. Una vera sfida che richiederà nuova formazione e nuove competenze anche per i funzionari della Pa, non solo in Italia, ma in tutta Europa.
Immagine di copertina: Barcellona ©Jonny Joka
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