Undici mostre in altrettanti luoghi della città e oltre 450 opere raccontano l’impatto dell’uomo sulla natura
Punti di vista su cosa costruiamo, come, quando e perché. E sull’impatto di ritorno. È un esercizio di campionatura dell’opera dell’uomo sulla realtà che lo circonda la IV Biennale di fotografia dell’industria e del lavoro promossa e organizzata da Fondazione Mast a Bologna. Tecnosfera, questo il titolo scelto per l’edizione curata da Francesco Zanot, include tutto ciò che l’attività umana ha aggiunto all’ambiente naturale: per un mese (dal 24 ottobre al 24 novembre), 11 mostre, 435 fotografie, 16 proiezioni video e un film all’interno di musei e palazzi storici bolognesi e al Mast (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), 160 eventi gratuiti trasformano la città in un osservatorio privilegiato sul lavoro e sui cambiamenti provocati sulla Terra.
Al centro, il tema del costruito che coinvolge tutta la città per il carattere diffuso sul territorio delle mostre. «Viviamo in una patria artificiale, diceva Cattaneo – spiega il sindaco bolognese Virginio Merola durante la presentazione della Biennale – Il nostro paesaggio urbano è frutto del nostro lavoro e abbiamo una responsabilità specifica nel non adagiarci nel semplice discorso sulla natura. L’arte può aiutarci ad acquisire consapevolezza dei problemi ambientali che dobbiamo affrontare, costruendo “ponti” grazie al dialogo e superando vecchi schemi di contrapposizione». Il richiamo è alla responsabilità nell’azione, consapevoli appunto che «se siamo a questo punto è per colpa dell’uomo».
CITTÀ COME LABORATORIO.
«Con “Tecnosfera” – dichiara Isabella Seràgnoli, presidente della Fondazione Mast – vengono portati sotto gli occhi del pubblico le forme molteplici con cui il genere umano ha costruito una vera e propria gabbia tecnologica che ormai avvolge e soffoca il globo terrestre e la cui storia si sviluppa dal secolo scorso a oggi. Sarà come se gli occhi di grandi fotografi del passato e del presente consentissero alla città di vedere là dove sarebbe impossibile vedere normalmente».
Ispiratrice del tema è stata Anthropocene, la mostra alla Fondazione Mast che rappresenta il risvolto più drammatico dell’azione esercitata dagli esseri umani sulla sfera terrestre e sugli altri animali che la abitano. «Greta e il movimento Friday for Future hanno cambiato l’urgenza di questo tema rispetto a quando, circa due anni fa, abbiamo iniziato a lavorare sull’esposizione – sottolinea Urs Stahel, curatore – In neanche sei mesi sono stati 60mila i visitatori: speriamo che vedere l’impatto devastante dell’uomo sul pianeta aiuti a cambiare prospettiva». (Per saperne di più, leggi l’articolo dedicato)
Il paesaggio urbano è frutto del nostro lavoro. Dobbiamo responsabilmente dialogare sulle soluzioni possibili ai problemi ambientali
Virginio Merola
LETTURA SU PIÙ LIVELLI.
«Le mostre non sono state calate dall’alto sugli spazi – spiega il direttore artistico Zanot – ma pensate sui luoghi che dovevano accoglierle. Durante l’anno di preparazione mi sono chiesto quale autore e quali opere sarebbero state adatte sia al tema sia allo spazio espositivo, per instaurare un dialogo tra contenuto e contenitore». Gli allestimenti sono stati affidati all’architetto Francesco Librizzi, che ha amplificato alcune caratteristiche degli spazi espositivi per similitudine o per contrasto.
A Palazzo Bentivoglio, per esempio, l’installazione asseconda con supporti lineari e continui, la lettura seriale del racconto per immagini di Luigi Ghirri; la natura dinamica dell’opera video di Stephanie Syjuco è bilanciata dalla stasi delle sedie disposte variamente nella sala; un trionfo di volumi sparsi sul campo grafico del pavimento, al primo piano di Palazzo Pepoli, spingono lo sguardo dalle foto al soffitto su cui è affrescato il “trionfo di Ercole” in un ideale connubio tra la dimensione eroica della sala e il transumanesimo raccontato da Matthieu Gafsou. E ancora, l’economia circolare di rifiuti che diventano sculture, fotografate dal giapponese Yosuke Bandai, torna nello spazio circolare, concavo ed etero, creato nella sala quadrata al piano terra del Museo della musica: un posizionamento delle immagini che enfatizza la serialità della ricerca dell’autore. Oppure la sacralità dello spazio del Genus Bononiae in Santa Maria della Vita in contrapposizione con la disposizione delle immagini di Lisetta Carmi più vicina alla scala umana.
I PUNTI DI VISTA.
Sono quattro le macro- aree su cui incidono i lavori in mostra:
– i processi di costruzione e il loro carattere trasformativo su cui si soffermano Albert Renger-Patzsch (“Paesaggi della Ruhr”), André Kertész (“Tires/Viscose”) e Luigi Ghirri (“Prospettive industriali”);
– un discorso sociale e politico sull’uomo al lavoro con Lisetta Carmi (“Porto di Genova”), Armin Linke (“Prospecting Ocean”) e Délio Jasse (“Arquivo urbano”);
– cosa resta di quella che Zanot definisce «l’umana febbre del costruire” indagati da Davide Clearbout (“Olympia”) e Yosuke Bandai (“A certain collector B”);
– la natura circolare e inarrestabile del costruire in una proiezione nel futuro grazie a Stephanie Syjuco (“Spectral City”) e Matthieu Gasfou (“H+”)
Ad affiancare le mostre, ci saranno gli eventi gratuiti su presentazione: incontri, proiezioni, performance teatrali e musicali. Gli artisti e i curatori saranno in città per visite guidate che si aggiungono ai workshop del giovedì, appuntamenti dedicati agli studenti.
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