In Italia i limiti delle emissioni sono tra i più restrittivi al mondo: il tetto massimo raggiunge appena il 15% della media europea
Il 5G metterà a rischio la salute? E provocherà un aumento dei tumori dovuti alle onde elettromagnetiche? Queste le domande (ri)portate alla ribalta della cronaca a seguito dell’avvento della quinta generazione mobile. La questione è annosa ed è a partire dal 3G che si sono innescati i maggiori allarmismi e timori in merito ai danni da elettrosmog. A sorpresa, invece, altrettanto clamore non ha riguardato e non riguarda il wi-fi, tecnologia anch’essa della “famiglia” delle onde elettromagnetiche e dai livelli di diffusione che fanno il paio con quelli della telefonia mobile.
Manifestazioni, comitati e campagne anti-antenne sono stati protagonisti a “ondate” negli anni scorsi. E siano ora in una fase di recrudescenza, come da copione.
Il vero e unico danno sortito fino ad oggi è stato il rallentamento delle coperture e quindi della disponibilità del segnale in diversi Comuni italiani
Non solo non c’è infatti alcuna evidenza scientifica in merito ai danni da elettrosmog mobile – sui quali si è indagato e si continua ad indagare – ma l’Italia è fra i Paesi più restrittivi al mondo in quanto a limiti delle emissioni. Restrittivi al punto che le norme in materia dovranno con tutta probabilità essere ridiscusse per spingere la realizzazione delle nuove reti 5G e massimizzare le potenzialità dei servizi di nuova generazione.
In Italia i limiti in termini di emissioni sono fissati a 6 volt metro contro una media europea al di sopra dei 40 volt metro. Siamo dunque decisamente lontani da qualsiasi soglia di “pericolo”. Stando ad alcuni esperti, eventuali rischi potrebbero generarsi a seguito di un uso eccessivo degli smartphone, ma si è calcolata un’esposizione ai 50 volt metro per 19 ore al giorno lungo tutto l’arco della vita. Insomma, decisamente difficile.
L’Organizzazione mondiale della Sanità ha effettuato nel corso degli anni diversi studi relativi all’esposizione alle emissioni elettromagnetiche della telefonia mobile. E fino ad oggi non ha riscontrato alcun rischio. Tesi sostenuta anche dall’Istituto Superiore della Sanità. Secondo quanto emerge dal rapporto Istisan pubblicato a luglio scorso e che ha condotto una metanalisi degli studi pubblicati dal 1999 al 2017, «in base alle evidenze epidemiologiche attuali, l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle radiofrequenza durante le chiamate vocali». Non è stato rilevato, evidenzia l’Iss nero su bianco – considerando l’uso prolungato dei telefoni mobili (10 anni) – alcun incremento del rischio di tumore maligno (glioma) né benigno (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari).
Importanti i chiarimenti anche in merito al nuovo standard 5G: «Le emittenti (antenne, ndr) aumenteranno, ma avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali dovuta all’irradiazione indirizzabile verso l’utente (il cosidetto beam-forming) comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti», si legge nel documento. A dicembre 2018 uno studio guidato dall’Australian Radiation and Nuclear Safety Agency (Arpansa) – che ha preso in esame 16.800 casi di tumore cerebrale (su pazienti fra i 20 e i 59 anni) in Australia a partire dall’inizio degli anni 1980 – ha escluso qualsiasi legame fra la rapida diffusione della telefonia mobile e l’incidenza dei tumori al cervello.
© RIPRODUZIONE RISERVATA