Food&beverage sposano design e architettura nel locale dello chef stellato Andrea Berton
Dry Milano è un’esperienza coinvolgente e innovativa, dello spazio e del gusto, sociale e mondana. Nato in via Solferino nel 2013 da un’idea dello chef stellato Andrea Berton insieme ai soci Giovanni Fiorin, direttore esecutivo dei progetti del gruppo, Diego Rigatti, avvocato e sommelier, Tiziano Vudafieri, architetto e interior designer, in cinque anni l’iniziativa ha sedotto palato e senso estetico di molti, tanto da indurre il gruppo ad avviare un secondo locale in viale Vittorio Veneto. Dry Milano associa la sua proposta food&beverage, che sposa i cocktail più inediti alla pizza, alla qualità del progetto architettonico realizzato in entrambe le occasioni dallo studio Vudafieri-Saverino Partners.
Berton, classe 1970, viene dal Friuli Venezia Giulia. Ha lavorato con Gualtiero Marchesi a Milano, con Carlo Cracco all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, con Alain Ducasse al “Louis XV” di Montecarlo. Dopo alcune esperienze all’estero è rientrato in Italia e ha lavorato per il ristorante “Trussardi alla Scala”. Fra il 2012 e il 2013, insieme ai suoi tre soci, apre “Pisacco” e “DRY Milano”, entrambi in via Solferino. E non è tutto, quasi contemporaneamente darà vita al “Ristorante Berton” e a “Berton Al Lago”. Un eccellente curriculum ricco di stelle Michelin e altri riconoscimenti, come le forchette del Gambero Rosso e i cappelli della Guida ai Ristoranti d’Italia de l’Espresso, garantisce a chi frequenta Dry Milano cocktail e pizze caratterizzati da sapori garbati e intensi per la loro qualità, raffinati e semplici allo stesso tempo, tradizionali e innovativi, classici e inediti.
Per la seconda volta Andrea Berton e il suo team hanno investito nel food different, arricchendo la formula vincente del primo Dry (cocktail e pizza) con una varietà di insalate, salumi e carni stagionate d’eccezione (come la bresaola di Panatti o il crudo a lenta stagionatura). Fra le novità di viale Vittorio Veneto ci sono anche i “Signature”, a base di vino e shrub (ingrediente homemade ottenuto dalla fermentazione della frutta).
E per un soft drink arrivano le acque aromatizzate, ottenute attraverso i processi d’infusione ed estrazione a freddo
L’ambiente è la testimonianza di quanto possa essere ulteriormente gratificante la sosta da Dry Milano. «Il tema architettonico pone al centro la progettazione del rapporto con le persone. Un tema che si fa evidente nella scelta di eliminare il filtro tra chi lavora e chi è servito: rompere l’idea del bancone del bar come un altare laico. Ne consegue una distribuzione dello spazio non gerarchica tra luogo del cliente e luogo dello staff», spiegano i progettisti. L’ottone è il materiale protagonista della scena: riveste tavoli di ogni foggia, porzioni di pareti e persino il bancone del bar. A esso si accosta il pavimento in legno e i muri dell’edificio originario, a tratti lasciati a vista perché parlino di memoria e alludano alla storia di un ambiente vissuto in un’altra epoca e con altre modalità. L’illuminazione è affidata a lampadari costruiti raggruppando insieme vecchi portalampade, con lampadine a incandescenza di recupero o, ancora, a ghirlande luminose da attorcigliare attorno a semplici barre. C’è ancora una novità: Dry Milano di viale Vittorio Veneto ospita “Extra Dry”, il programma di video installazioni d’arte contemporanea curato da Paola Clerico/Case Chiuse. Il rapporto con la città? C’è anche quello: DRY presenta tredici vetrine sulle facciate con affaccio sulla Casa della Fontana, risalente agli anni Trenta, sul giardino di via Palestro e, con un dehors, sui Bastioni di Porta Venezia.
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