Oltre cento scatti dell’America tra gli anni Trenta e Quaranta in mostra al Museo diocesano di Milano
Volti scarni e segnati dall’esperienza, paesaggi desolati, case di legno che ricordano un’altra America. I soggetti di Dorothea Lange, la celebre fotografa statunitense nata nel 1895 a Hoboken, nel New Jersey, sono i testimoni di un’epoca drammatica della storia americana, segnata dal crollo di Wall Street e dalla Seconda guerra mondiale. Gli scatti in bianco e nero di Lange sono diventati simbolo di quel periodo, grazie anche alla sua capacità di trasmettere, attraverso l’obiettivo, le esperienze e il vissuto emotivo delle persone protagoniste.
Oggi, a 135 anni dalla nascita della fotografa, oltre cento di queste immagini arrivano al Museo diocesano Carlo Maria Martini di Milano, per una mostra organizzata in collaborazione con Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, che aprirà al pubblico il 13 maggio. L’esposizione, curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, si concentra sugli anni più importanti della carriera di Lange, quando nel 1935 lascia il suo studio di ritrattistica a San Francisco per seguire l’economista Paul S. Taylor, che diventerà il suo secondo marito, in un viaggio attraverso Stati Uniti, grazie a un incarico dal Governo americano tramite il programma Farm Security Administration. Lange documenta così le drammatiche condizioni di vita dei lavoratori del settore agricolo delle aree centrali del Paese, duramente colpite dalla siccità dal 1931 al 1939 (il fenomeno chiamato delle Dust Bowl), quelle delle piantagioni di piselli della California e di cotone degli Stati del Sud, dove la segregazione razziale generava situazioni di sfruttamento ancor più degradanti. Sono migliaia gli scatti realizzati in questi anni. Ed è proprio in questo contesto che Lange, rappresentante di spicco del movimento della straight photography – o fotografia diretta, che si concentra sul racconto di temi sociali attraverso questo medium, rifuggendo ogni forma di manipolazione – scatta Migrant mother, uno dei suoi ritratti più celebri, con una giovane madre disperata che vive con i sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse.
L’obiettivo della Lange continua a testimoniare la realtà del Paese durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolare nei campi di internamento, dove venivano rinchiusi i cittadini americani di origine giapponese dopo il bombardamento di Pearl Harbor nel 1941, politica che Lange e il marito non condividevano. Con i suoi scatti documenta questa legge razziale e discriminatoria e come questa abbia stravolto la vita di migliaia di persone ben inserite nella società, costringendole ad abbandonare le proprie case e le proprie attività. Le immagini saranno bandite dal Governo fino alla fine della guerra per il loro spirito critico.
Nel 1941 Dorothea Lange ottiene un Guggenheim Fellowship e all’inizio degli anni Cinquanta si unisce alla redazione di Life e si dedica all’insegnamento presso l’Art Institute di San Francisco. Muore nel 1965, a pochi mesi dall’inaugurazione dell’importante mostra che stava preparando al Museum of Modern Art di New York. Le sue fotografie sono testimonianza di come quest’arte possa essere motore di denuncia e cambiamento sociale.
In copertina: ©Dorothea Lange, Raccoglitore migrante di cotone