La lezione del crack che fece tremare la finanza globale
Siamo pronti alla prossima crisi? A dieci anni dal crack Lehman, la lezione del passato ci ha preparati ad affrontare le crisi che arriveranno?
Tra le molte voci che hanno discusso sul tema nelle ultime settimane, trova spazio una mattinata di confronto tra esperti di diversa formazione e prospettiva – economica, universitaria, imprenditoriale, sociale – nel convegno “10 anni dopo Lehman” promosso dalla Regione Lazio nello spazio WeGil di Roma lo scorso 14 settembre.
Capire cosa è accaduto e come è cambiato il mondo, per evitare la deresponsabilizzazione che impedisce di governare il futuro. Perché, hanno detto in molti durante il dibattito a partire da Marco Bentivogli, segretario generale Fim-Cisl, non tutto quanto è avvenuto nel 2008 è diretta conseguenza della richiesta di ammissione al Chapter 11 da parte di Lehman Brothers, la quarta maggiore banca degli Stati Uniti: al “tonfo” finanziario e poi economico hanno contribuito scelte strategiche umane, errori del sistema produttivo, perfino la chiusura di tipo politico. «La lezione, ad oggi, l’hanno imparata molto più i fondi d’investimento che la politica italiana: la sostenibilità è essenziale», ha affermato Bentivogli ricordando come tra le risposte più efficaci alla crisi ci fu l’autorevolezza politica di Obama che respinse i piani industriali “standard” di tre Ceo dell’industria automobilistica – compreso quello di Marchionne – chiedendo di presentarne altrettanti molto strutturati, in modo che potessero essere finanziati dallo Stato.
La crisi è stata l’occasione mancata per costruire l’Europa
Dario Scannapieco, vicepresidente Banca europea per gli investimenti
Il crack Lehman ha aperto un tema politico a livello europeo, disgregando la spinta a una visione unitaria, a un processo di convergenza, e ha reso lo spazio europeo più eterogeneo. Di fatto ha spianato la strada ai populismi, uno dei modi – spiega tra gli altri Federico Fubini del Corriere della Sera – in cui le “periferie” della Ue chiedono ruoli di primo piano ai Paesi che hanno ripreso a crescere sul palcoscenico europeo.
E allora, siamo pronti per la prossima crisi? Andrea Montanino, direttore del centro studi di Confindustria, è dubbioso perché «la governance economica mondiale è più debole di allora»: l’esempio dell’ultimo G7 con l’annuncio del presidente Usa, Donald Trump, di non voler più firmare la risoluzione appena discussa è emblematica. Insieme, ricorda che l’Italia è sicuramente più forte dal punto di vista industriale, benché ancora esposta per la ridotta dimensione delle imprese, che spesso non superano i 9 dipendenti, e la ridotta capacità di capitalizzazione che le “proteggerebbe” sui mercati.
«In questi dieci anni abbiamo chiaramente capito che siamo su un sentiero di non sostenibilità – anche ambientale e sociale – e che la crisi che stiamo vivendo è esistenziale», ha evidenziato Andrea Brandolini di Banca d’Italia. Al tempo stesso, si è reso evidente che lo sviluppo delle imprese richiederà un enorme investimento in capitale umano e in strumenti di welfare perché sperimentiamo – ha affermato Enrico Giovannini dell’Università Tor Vergata di Roma – che una bassa crescita complica la gestione della democrazia quando invece «le crisi del futuro avranno necessità di resilienza».
In questo quadro, un ruolo importante possono – devono per il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti – giocarlo i territori. «Non c’è dubbio che il crack Lehman abbia evidenziato l’interdipendenza globale dei processi economici e che le risposte alla crisi che si rinchiudono nei nazionalismi sono velleitarie». La direzione che Zingaretti indica si sostanzia in un parallelismo di crescita ed equità che contrasti la «messa in discussione della democrazia stessa» a cui stiamo assistendo come conseguenza dell’aumento delle disuguaglianze, a livello di reddito e di accesso a beni comuni primari.
La pubblica amministrazione deve essere capace di mettere in campo innovazioni senza paura
Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio
Discutere del 2008 e dei suoi effetti a 10 anni è allora l’occasione per capire come affrontare i nodi dell’innovazione, responsabilizzandosi rispetto al possibile ruolo nella ricerca di soluzioni alla crisi da parte dei sistemi territoriali, in relazione gli uni con gli altri.
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