Parlare alle nuove generazioni, abbandonare il mito dell’iperconnessione e rallentare
Gianni Biondillo, architetto e scrittore milanese classe 1966, è noto in Italia soprattutto per i suoi gialli: un’”ambivalenza” professionale, la sua, dalla quale già in passato, con il libro “Metropoli per principianti” ha dimostrato di saper trarre spunti e riflessioni preziose. Dopo più di dieci anni dalla pubblicazione del volume l’autore (che nei mesi scorsi ha curato anche “Elementi di urbanistica noir”, un insieme di storie di celebri giallisti legate alle principali città italiane) ritorna a raccontare l’ambiente urbano e i suoi linguaggi con “Lessico Metropolitano”, una raccolta di saggi edita da Guanda e presentata sui canali ufficiali della Triennale di Milano in un talk con Stefano Boeri.
«Si può vivere senza l’arte, ma non senza le case – ha esordito provocatoriamente Biondillo – ecco perché ho sentito la necessità di scrivere questo libro, che parla di architettura, di territorio e dei suoi abitanti con le competenze di un progettista, narrandole attraverso la lingua dello scrittore: oggi sono un architetto che progetta attraverso le parole» ha detto l’autore. Così “Lessico Metropolitano” diventa un “prontuario di seduzione urbana” che racconta la città in quanto patrimonio dell’uomo, ma anche deposito di memorie e cultura.
«L’agglomerato, il villaggio, il borgo, la metropoli sono la nostra scommessa da quando siamo diventati esseri stanziali. L’uomo di cultura ha uno sguardo disattento verso i temi della città, il cuore della civiltà, della politica, e questo mi preoccupa» ha spiegato lo scrittore
«Quando dodici anni fa ho pubblicato “Metropoli per principianti” avevo pensato di accomiatarmi così dall’architettura. In realtà, però, mai come negli ultimi anni mi sono interessato tanto di questi temi, li ho raccolti e impastati nelle trame dei miei libri e romanzi, anche nei gialli, che spesso suggeriscono itinerari proprio in quei quartieri meno considerati al di fuori del centro storico. Quelli che molti chiamano periferia». Ma come ribadisce Biondillo nel suo nuovo volume «non ha più senso oggi parlare di periferie, perché questa terminologia non corrisponde più alla situazione attuale. Era corretto forse parlarne cinquant’anni fa, quando si discuteva delle dualità “centro-sobborghi”, “città-campagna”. Io stesso, poi, vengo da Quarto Oggiaro. Ma oggi zone come anche Barona o Baggio non sono più ai bordi di Milano, non sono più i quartieri della classe operaia, hanno una loro storia e memoria, sono parte integrante di una metropoli immensa».
Attraverso i suoi ricordi personali, riscoperte di architetti dimenticati, incontri con giovani designer e dialoghi con maestri contemporanei, Biondillo tratteggia la complessità della città, soffermandosi su alcuni vocaboli. E non mancano passaggi sul futuro dei grandi capoluoghi come Genova, Milano o della Capitale, sulle inquietudini e le incertezze del presente, sulla pandemia e il cambiamento climatico, non senza incursioni sul passato dell’architettura italiana. Perché la stessa progettazione è stratificazione urbana e racconto, e proprio la metropoli è, secondo l’autore, “la più grande narrazione dell’uomo”.
«Un lungo capitolo del libro, per esempio, è dedicato al futurista Antonio Sant’Elia – spiega lo scrittore – e da questo personaggio si dipana una serie di storie, esperienze e testimonianze che tengono insieme diverse generazioni, passando per alcuni dei più importanti architetti che hanno ripensato Milano nel dopoguerra».
Ecco che allora, secondo Biondillo, le metropoli sono al contempo un problema e la sua soluzione: «l’architettura ha bisogno di maturare, ha bisogno di tempo. Ed è giusto che la complessità – che è una caratteristica intrinseca della metropoli – porti a formulare soluzioni complesse»
Quale allora la ricetta per la città del futuro? «Anzitutto abbiamo il dovere di dire qualcosa alle nuove generazioni, di fornire loro gli strumenti per invertire questa crisi che stiamo attraversando. Poi sarà fondamentale abbandonare questo costante mito dell’iperconnessione, e rallentare. Il piano regolatore più efficace sarà quello capace di riformulare il tempo della città» racconta l’autore.
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In copertina: Milano, ph. © Fabio Mondo via Unsplash