In libreria un nuovo libro, pubblicato da Elèuthera, che raccoglie testi e scritti dell’intellettuale americana.
In uno dei recenti video del World Economic Forum (Wef), realizzo per i social, si parla del concetto di “città in 15 minuti” e dei recenti esperimenti che Parigi e Barcellona, nonché Milano, stanno mettendo in pratica per migliorare la qualità della vita dei proprio abitanti. Secondo questo concetto – che va di pari passo con la dicotomia “borghi sì/borghi no”, un altro leit motiv al centro dei discorsi di urbanisti e architetti all’epoca del Covid 19 – i cittadini dovrebbero avere tutto ciò che a loro serve a massimo 15 minuti di distanza, secondo un principio di prossimità. Una teoria che coinvolge non solo progettisti, ma anche sociologi, demografi e antropologi, nella discussione su come dovranno essere pianificati e progettati i centri urbani del futuro.
Ciò che colpisce è che in questo video del video del Wef, oltre al padre di questa idea – Carlos Moreno, professore alla Sorbona di Parigi – viene citato anche il nome Jane Jacobs (1916-2006), intellettuale, redattrice di Architectural Forum, nonché grande critica di Le Corbusier e del suo principio della Ville Radieuse, e per questo negli anni bersaglio di aspre critiche e attacchi (diretti anche al suo essere donna in un ambiente fino ad allora dominato da figure maschili). Un’urbanista sui generis, se così si può definire, che pur non avendo mai ricevuto la laurea, ha influenzato intere generazioni di progettisti e fino al noto sociologo Richard Sennett. Al suo lavoro rivoluzionario è dedicato un piccolo, ma interessante, volume recentemente pubblicato da Elèuthera dal titolo Città e libertà (176 pagine, 16 euro), curato da Michela Barzi. Una raccolta di brevi testi e lettere della Jacobs che si sviluppano intorno ad una delle sue idee cardine: il caos che sottintende l’ecosistema delle città non è altro che l’origine della sua libertà.
Per la Jacobs i centri urbani progettati senza tenere conto della vita dei suoi abitanti in nome di una pianificazione rigorosa e ordinata, non funzioneranno mai. «La questione che percorre il pensiero di Jacobs sulle città e le loro trasformazioni riguarda, in buona sostanza, il conflitto che si innesca quando all’esperienza urbana degli abitanti si sovrappongono le idee degli architetti e degli urbanisti sulle città – scrive la Barzi nell’introduzione al volume –, a cui il processo istituzionale della pianificazione si fa carico di dare legittimazione politica». L’approccio della Jacobs, che ricorre in quasi tutti i testi contenuti nel libro, è invece quello basato sull’osservazione di questo ecosistema e dei reali bisogni di chi vi vive, a partire proprio dalla strada:
«Bisogna uscire, e camminare – sottolinea la Jacobs in “Il centro della città è per gente” –. Camminate, e vedrete che molti dei presupposti sui quali si basano i progetti sono sbagliati. Vedrete, ad esempio, che un complesso civico valido e ben tenuto non necessariamente migliora anche ciò che lo circonda»
dice, in quella che potrebbe essere una serena stoccata al mantra del moderno concetto di “rigenerazione urbana” a tutti i costi. La strada, centro nevralgico e di comunicazione, nodo degli scambi commerciali, con funzioni diverse mescolate tra loro. Ecco dove quindi si innesta la vita e la vitalità dei centri urbani, non nella sua razionale pianificazione fatta dall’alto “con squadra e righello”, ma nel suo essere considerata “dal basso”. «Ogni pianificazione che funzioni dovrà essere basata su ciò che catalizza la tendenza della città verso un comportamento costruttivo – rimarca ancora –, o almeno si predisponga ad accoglierlo, invece che sulla eccessiva semplificazione di un’infinità di dettagli impossibile da gestire».
Ma la vera chiave dell’”insurrezione” accademica e urbanistica della Jacobs risiede in questo concetto:
«Le idee urbanistiche e architettoniche innovative del nostro tempo sono emerse da luoghi non pianificati, o da una serie di molti piccoli piani, e dobbiamo aspettarci che questo sia valido anche in futuro, per quanto riguarda le idee urbanistiche che non possiamo prevedere oggi».
Un concetto molto simile che si ritrova anche negli scritti di Sennett. La non pianificazione come libertà ultima e come, aggiungeremmo noi, elemento di sopravvivenza dei nostri centri urbani e modus per il quale le città ritorneranno al centro della discussione.
Potranno essere davvero così i nuovi quartieri da 15 minuti dell’epoca post-Covid? Forse, se i progettisti sapranno ascoltare le persone.
Immagine di copertina: A view of New York City with the Empire State Building and One World Trade Center from the Rockefeller Center ©JaxsonD
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