Una mostra permanente ricorda la storia di Wührer, prima fabbrica brassicola in Italia
Il primo boccale prodotto in Italia, quasi duecento anni fa. E l’ultima etichetta, appena nata, in omaggio alla Capitale della Cultura 2023. Brescia è la città italiana che ha un legame indissolubile con la birra, che affonda le radici nel passato ma che si rinnova di continuo con la diffusione di numerose realtà artigianali, microbirrifici che si sono moltiplicati negli ultimi anni. Eventi e mostre celebrano la tradizione birraia cittadina mentre – allargando lo sguardo sul territorio lombardo – appare sempre più concreta la possibilità di rappresentare uno dei perni per lo sviluppo di una filiera brassicola regionale, dalla coltivazione di orzo e luppolo agli impianti per il packaging di bottiglie e lattine.
Quando si parla di birra a Brescia il nome che viene in mente è uno solo: Wührer, la fabbrica – prima in Italia a produrre la bevanda alcolica – che fu fondata nella città lombarda nel 1829 da Franz Xaver Wührer. Una storia che parte dai suoi avi austriaci, con una tradizione tramandata di padre in figlio dalla metà del XVI secolo, raccontata dalla mostra permanente «Brescia e la prima birra in Italia. Aspettando i 200 anni (1829-2029)», appena inaugurata presso l’Antica birreria Wührer (viale Bornata 46, Brescia), storico locale (dal 1964) che si trova nell’ultima struttura adibita dalla famiglia Wührer, a suo tempo, all’assaggio e alla vendita al pubblico della birra.
L’esposizione (ingresso libero) raccoglie numerose testimonianze d’epoca: cartelli pubblicitari di fine ‘800, illustrazioni, fotografie, cartoline, etichette, carte intestate.
È stata curata da Federico Wührer, figlio di uno dei tre fratelli che per ultimi sono stati proprietari della fabbrica bresciana (il marchio è stato poi acquisito da Peroni, a fine anni ’80, ed è attualmente di proprietà di Asahi, colosso giapponese del settore): «La cultura cittadina della birra non deve perdersi – afferma –. Lo stabilimento storico è stato riconvertito, mantenendo intatta la struttura del sito produttivo. Il cosiddetto “Borgo Wührer” è oggi un importante esempio di archeologia industriale che caratterizza un’area della città ed è frequentato anche dalle giovani generazioni, le quali – però – non sempre conoscono la storia che c’è dietro». La mostra, «fortemente voluta dagli attuali gestori del locale, è stata così un modo per ricordare una tradizione famigliare e cittadina», conclude Wührer, che per l’occasione ha dedicato al padre (Cesare) una birra artigianale, la Cesar 1949, riprendendo una ricetta inventata da suo nonno quasi 75 anni fa.
A mettere in evidenza il feeling che lega, ancora oggi, il territorio bresciano e la birra è stata la proposta, da parte di akòmi, agenzia creativa che ha curato il progetto di identità visiva per Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 di mettere a disposizione il logo ideato per l’evento per promuovere produzioni locali di qualità, attivando «connessioni inedite e sviluppando idee capaci di creare valore per le imprese e per il territorio»: i prodotti scelti – in un’iniziativa che ha coinvolto il Cna di Brescia – sono stati un vino (un “metodo classico” dell’azienda agricola Tenuta la Vigna) e una birra (una Lager Hell, chiara d’ispirazione bavarese, realizzata dal birrificio Riversa). Entrambi made in Brescia hanno potuto inserire sulle rispettive etichette il logo di Capitale Italiana della Cultura, evoluto rispetto alla configurazione nota, come cifra che compone l’anno 2023 e, allo stesso tempo, la lettera B, iniziale dei nomi delle città nominate, per la prima volta insieme, riferimento culturale per il Paese.
La scelta di una birra in rappresentanza delle produzioni artigianali del territorio delle due province lombarde non è casuale, in un contesto regionale che segna un trend in forte crescita per il settore: in un recente evento di presentazione di un bando a sostegno della filiera brassicola, la Regione ha rilevato come i microbirrifici lombardi siano «triplicati negli ultimi dieci anni», contando più di «trecento aziende con oltre 1500 addetti» e un «fatturato di circa 70 milioni di euro, pari al 30% di quello nazionale». Secondo i dati raccolti ed aggiornati in tempo reale dal sito microbirrifici.org, in particolare, sono quasi un centinaio le realtà di vario genere e dimensione – che includono birrifici artigianali (che si dedicano esclusivamente alla produzione di birra artigianale), brew pub (produttori con mescita in loco) e beer firm (produttori che usufruiscono di impianti terzi) – operanti nelle province di Brescia e Bergamo.
«Non è facile avere numeri reali per il settore – chiarisce Vittorio Ferraris, direttore generale di Unionbirrai, associazione dei piccoli birrifici indipendenti italiani –, le cifre infatti sono spesso falsate da una proliferazione di microimprese che confonde la visione del comparto. La Lombardia, in ogni caso, è la regione dove per numero di aziende e volumi di produzione il fenomeno si è più sviluppato negli ultimi 25 anni. Qui ci sono stati i pionieri del settore e si trovano i birrifici artigianali più grandi d’Italia». Unionbirrai rappresenta circa 500 produttori, quasi il 50% delle aziende italiane, di cui però solo 7 hanno una produzione superiore ai 10mila ettolitri l’anno, soglia al di sotto della quale si identifica un microbirrificio, soggetto che gode di specifiche semplificazioni e agevolazioni fiscali.
Nella grande maggioranza dei casi, dunque, si tratta di piccole realtà artigianali. Non mancano, tuttavia, spinte e opportunità per costruire una filiera. Su questo fronte il Pirellone ha varato, lo scorso dicembre, una specifica legge per la promozione e la valorizzazione della filiera agroalimentare brassicola regionale (lr 32/2022). «Il territorio lombardo, con le province bresciana e bergamasca in posizione rilevante – sottolinea il dg di Unionbirrai – è particolarmente vocato su questo fronte, a partire dalle condizioni favorevoli per la coltivazione di orzo e luppolo, ingredienti fondamentali per la birra. Ma anche in termini di presupposti per lo sviluppo di malterie o il consolidamento di aziende specializzate in impianti di produzione o packaging. Costruire un vero made in Italy della birra – conclude – è un obiettivo che rappresenterebbe un grande valore aggiunto, elevando i livelli di qualità e proposte commerciali. E innescando un effetto moltiplicativo sul fronte culturale ed economico, tra festival ed eventi, grazie al potenziale aggregativo della birra e alla stretta connessione con il mondo del food».