Una mostra a Bologna sulle cause e gli effetti dei cambiamenti climatici
Un fotografo e due registi con l’idea di esporre in maniera cruda ma non artefatta l’impatto dell’uomo sugli equilibri naturali del pianeta Terra. È questo il punto di partenza del progetto Anthropocene, vera e propria esplorazione multimediale declinata in una mostra itinerante e realizzata combinando arte, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica. Grazie ad una collaborazione quadriennale, Edward Burtynsky (fotografo), Jennifer Baichawal e Nicholas de Pencier (registi) hanno documentato i cambiamenti climatici indotti dalle attività umane scattando fotografie e raccogliendo testimonianze video. Ad ospitare in Italia la rassegna sarà, fino al 22 settembre, la Fondazione MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) di Bologna.
Il nostro lavoro può offrire uno sguardo avvincente su ciò che accade. La nostra è una testimonianza reale. Far vivere queste realtà attraverso la fotografia è come creare un potente meccanismo che dà forma alle coscienze.
Edward Burtynsky
Un concetto noto, quello della forza delle immagini, con numerosi esempi di scatti che hanno cambiato il corso della storia o diventate simbolo di intere generazioni. La foto realizzata l’8 giugno del 1972 da Nick Ut a Phan Thị Kim Phuc e altri giovanissimi vietnamiti in fuga dal proprio villaggio, o quella dello studente cinese che nel 1989 sfidò una colonna di carri armati dell’esercito della Repubblica Popolare durante i giorni delle proteste di piazza Tienanmen, ne sono solo un piccolo esempio.
A distinguere ancor di più Anthropocene rispetto alle mostre incentrate sugli effetti dei cambiamenti climatici generati dall’uomo, è anche la vision attorno a cui si è sviluppata l’iniziativa. «Non vogliamo puntare il dito o rinnegare le nostre colpe – sottolinea de Pencier –. Viviamo nel mondo reale e abbiamo bisogno delle stesse soluzioni pratiche di chiunque altro. È quindi nostra responsabilità usare la macchina da presa come uno specchio, e non un martello, così da invitare gli spettatori a essere testimoni di questi luoghi e lasciare che ognuno reagisca a suo modo».
Il percorso espositivo permetterà ai visitatori di osservare con i propri occhi, grazie anche all’esperienza immersiva, le conseguenze dello sviluppo delle attività umane in diverse aree della Terra. Dalle barriere frangiflutti edificate sul 60% delle coste cinesi, alle miniere di potassio sui monti Urali dai colori psichedelici, per arrivare alle cave di marmo di Carrara e all’enorme discarica di Dandora, in Kenya. Il progetto stesso si basa sulla ricerca del gruppo internazionale di scienziati Anthropocene Working Group, impegnato a raccogliere le prove del passaggio dall’Olocene (l’attuale epoca geologica) all’Antropocene, età in cui è l’uomo ad essere diventato la singola forza più determinante nello spostamento degli equilibri naturali.
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