Al convegno promosso da Pambianco il punto sulle tendenze e le strategie proposto dai protagonisti del settore
“Con l’evoluzione del mercato della moda non sono più necessari nuovi negozi ma negozi nuovi”. Francesca Di Pasquantonio, a capo del dipartimento Global Luxury Research della Deutsche Bank, riassume in una frase emblematica ciò che aspetta il mondo della moda. La crescita dell’e-commerce che attualmente rappresenta dal 2 al 6% delle vendite, lo stravolgimento del rapporto con il consumatore, la gestione del brand. Questi sono i temi al centro del dibattito, quale futuro quindi per l’industria del fashion? Ne hanno discusso a Milano, in occasione del convegno “Il futuro della moda italiana” promosso da Pambianco, economisti, presidenti esecutivi di noti marchi di abbigliamento, consulenti del lusso per gruppi internazionali e fondatori di case note a livello mondiale del calibro di Giuseppe Zanotti, l’imprenditore italiano famoso in tutto il mondo per le scarpe di design.
In un momento di stallo economico per gran parte dei settori, quello del lusso, che fattura 17 miliardi di euro all’anno, non si arresta e cresce costantemente da alcuni anni anche in Italia, con stime che si aggirano intorno al 6-7% per il 2017 per un giro d’affari di oltre 88 milioni di euro. Un dato positivo trainato dalle esportazioni, il 65% delle vendite del Bel Paese, che nel settore rappresenta il 17% del totale con circa 67mila aziende attive.
Ma quali sono i fattori che rendono vincente un brand nel 2017? “Non c’è una soluzione unica per tutte le aziende – continua Di Pasquantonio – qualità ed esclusività sono dati per scontati oggi vista l’ampiezza dell’offerta, ma la carta vincente per attirare il consumatore è l’emotività nella comunicazione del prodotto”.
E in questa nuova era comunicativa del mercato, emozione è la parola chiave anche per Andrea Guerra, Presidente Esecutivo di Eataly: “Se vuoi vendere qualcosa devi far vivere un’esperienza al consumatore, o non raggiungerai il tuo obiettivo – ha sentenziato Guerra -. Oscar Farinetti (Fondatore di Eataly, ndr) ha trasformato il retail alimentare mondiale, inserendo non solo cibo, ma anche cultura e interattività”.
La sfida generazionale, essere o avere? I Millennials sono indubbiamente uno dei principali target attuali delle case di moda, e rappresentano oggi il 27% della domanda. Più uno state of mind che una classificazione chiusa, considerando il forte potere di influenza che i giovani hanno sulla cosiddetta generazione X, ovvero i nati tra il 1960 e il 1980. Consumatori da catturare nel flusso della rete con stili comunicativi moderni e innovativi che si muovono sui social, ma non solo. Cosa chiede il consumatore di oggi? “Esperienzialità, esclusività e partecipazione, queste tre cose – spiega Guerra -. L’acquisto deve essere un momento da vivere, non solo una compravendita. Quando una persona si reca in un negozio, deve sentire che ciò che si sta creando lo si fa solo per lei. Non basta far comprare un brand, bisogna far capire che si sta con qualcuno che sostiene un’idea”. Si pensi al tema del biologico o al zero waste. “Il tema – conclude – è essere credibili nel lungo periodo”.
Non basta far comprare un brand, bisogna far capire che si sta con qualcuno che sostiene un’idea
Andrea Guerra, presidente esecutivo Eataly
Nuove tendenze, nuovi mestieri. Con lo sviluppo del fronte digitale nel mondo del moda, nascono di pari passo anche nuove figure professionali che possiedono know how fino ad ora non necessari. Tra tutti, tre sono particolarmente richiesti. Parliamo innanzitutto del Fashion Content creator, proveniente dal mondo dell’editoria e a cui è richiesto di produrre contenuti ad hoc per le aziende di moda. C’è poi chi si occupa del Digital Merchandising Manager, un ruolo prima presente esclusivamente nel mondo del retail e ora invece ricercatissimo per gli e-commerce. E ancora, il Digital Marketing specialist a cui è richiesto di strutturare campagne promozionali e di comunicazione solo ed esclusivamente per il mondo web.
Come vendere agli orientali? Con la globalizzazione i traffici di merce sono notevolmente aumentati. Così l’alta moda, molto più di prima, ricerca il gusto anche dei paesi asiatici e in particolare della Cina, fulcro della crescita e verso cui si sta indirizzando il mercato. Un esempio? “Mai mettere un quattro o un gufo su una maglietta per cinesi, simboli di sfortuna per queste popolazioni superstiziose, che quindi molto probabilmente non la comprerebbero – ha spiegato Sara Bernabè, country manager di Tax Free Italia -. Non dobbiamo stupirci poi se in un negozio in Oriente, cinque amiche comprano tutte lo stesso vestito o le stesse scarpe, per gli orientali volersi differenziare dalla massa è segno di arroganza, mentre in occidente è uno dei driver che guidano la ricerca e l’acquisto di un capo. O ancora, gli orientali guardano molto più al brand rispetto alla qualità del prodotto, viceversa per gli occidentali”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA