Cosa succederebbe se le infrastrutture di gestione delle acque reflue urbane, considerate in una logica di ecosistema diventassero una risorsa anziché una responsabilità economica ed ambientale?
Cosa succederebbe se il progetto di architettura riuscisse a dare una soluzione attenta all’ambiente e capace di ridare vita agli spazi dell’ambiente costruito? Dal Nord Europa alla Corea gli esempi di hard engineering e soft engineering sono numerosi.
Tra gli altri a Seoul c’è il Cheong Gye Cheon, un percorso pedonale verde costruito al posto di un’autostrada realizzata su un corso d’acqua coperto: una linea verde lunga sette miglia che ha ripristinato un’area altamente inquinata con la demolizione di quasi 4 km di autostrada che divideva la città. Un progetto realizzato ormai dieci anni fa che ha riportato le persone in contatto con l’acqua e che al contempo ha mitigato le inondazioni.
Casi concreti di particolare interesse dove l’acqua è protagonista sono quegli spazi pubblici già realizzati in città come Rotterdam o Copenhagen, piazze e parchi, che in caso di situazioni atmosferiche straordinarie si riempiono d’acqua evitando inondazioni.
Non si può parlare di acqua senza far riferimento alla fitodepurazione. Un progetto interessante in Italia è a Castelluccio, noto per il suo altipiano e meta turistica. Il progetto più grande oggi è in Moldavia. E ancora in Thailandia nell’isola di Phi Phi è stato realizzato un parco con servizi ecosistemici dove il progetto di paesaggio rimanda all’immagine della farfalla.
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