Per celebrare la Giornata mondiale della pizza, una selezione di locali innovativi nella provincia italiana
Il 17 gennaio si celebra la Giornata mondiale della pizza e ci sono innumerevoli ragioni per farlo, non ultima quella relativa agli indici di gradimento. Secondo il report di Coldiretti/Ipsos nell’ultimo anno sono aumentati del 14% i consumi di pizza degli italiani, complice anche il contenimento dei suoi prezzi che sono aumentati 1/3 in meno (-33 per cento) rispetto alla media dei prodotti alimentari in commercio. La pizza è un simbolo nazionale per la quasi totalità degli italiani (89 per cento).
Con l’occasione Pantografo propone una selezione di pizzerie di provincia per raccontare come la pizza ormai sia ottima anche fuori da Napoli, che comunque ne rimane la patria indiscussa, e dalle più grandi città italiane.
Lo dimostra Santa Marghe a Oristano, la pizzeria che in men che non si dica ha conquistato i palati di molti in città. Oltre alle classiche, ci sono alcune pizze che introducono materie prima sarde, come la Botta, che prevede la bottarga di Cabras, e la Carlofortina, con tonno sott’olio di Carloforte. Ci sono anche le pizze speciali, che variano in funzione delle stagioni e dei prodotti del territorio disponibili, come guanciali e polpi locali, come racconta il pizzaiolo Raimondo, che è anche proprietario insieme a Maria. Non manca comunque un occhio ai prodotti internazionali, in particolare ai salumi iberici e al Black Angus. Grafica curata, personale garbato, ambiente informale sono gli altri plus di questa pizzeria che richiama l’atmosfera partenopea.
A Pisa ha aperto un locale innovativo rispetto alla proposta della concorrenza in città, sia negli spazi, curati e intimi, sia nel menu, che introduce originali abbinamenti. Parliamo di Aria, la pizzeria che Alfonso Abate, il proprietario pizzaiolo, definisce “napoletana contemporanea” in quanto lavora con delle farine a basso contenuto proteico estremizzando l’idratazione e con una cottura che avviene a una temperatura più bassa del solito. Aria è molto legata al territorio: il menu prevede prodotti toscani, come le verdure nichel free di una piccola azienda di San Giuliano Terme che lavora con la coltivazione acquaponica e i formaggi di un caseificio di Pisa. Solo la mozzarella di bufala viene da Napoli. La formazione è costante da Aria, che al momento sta lavorando sulla pizza cotta al vapore. Fra quelle in menu, da non perdere è Il mio orto 2.0, una base bianca condita con riduzioni di verdure di stagione, rucola, basilico, pomodorini gialli e rossi, cipolla caramellata finita con erba cipollina, ravanelli e germogli.
A Rimini e a Modena è appena arrivata Berberè – al quinto posto della classifica mondiale della guida “50 Top Pizza”- con due nuovi locali realizzati da Avamposti Architettura per il progetto architettonico e di interni e dall’agenzia Comunicattive per la grafica e la comunicazione, che ha coinvolto le visual artist To/Let per la realizzazione di un wall-painting. Una delle carte vincenti di Berberè è quella di rinnovarsi costantemente. La sfida che Matteo Aloe, chef e proprietario insieme al fratello Salvatore, si pone quest’anno è di creare un menu nel quale almeno il 20 per cento delle pizze saranno vegane e almeno il 50 senza carne e pesce.
L’attenzione alla salvaguardia del pianeta entra quindi nel menu, a partire dalla pizza Veganuary, proposta per il mese di gennaio, a base di barbabietola in crema e porri saltati, olive greche artigianali Kalamata, scorza d’arancia, noci, semi di sesamo e aneto.
In questo modo Berberè aderisce all’iniziativa nata nel Regno Unito, e ormai celebre in tutto il mondo, che propone di provare un’alimentazione vegetale per l’intero mese di gennaio. Da non perdere un altro nuovo ingresso nel menu: Spinaci con fiordilatte, olive nere, taleggio, scaglie di parmigiano reggiano 24 mesi, salvia, pepe nero, scorza di limone.
In Emilia Romagna c’è anche Cittadella Parma di Alberto Banchini, dove gli ingredienti a km 0 la fanno da padrone. Dalla farina impiegata per l’impasto della pizza – proveniente dall’antico Molino Soncini di Parma – fino ai formaggi – come il parmigiano reggiano – e ai salumi – immancabile il prosciutto crudo di Parma -, il menu è espressione del territorio. Le pizze spaziano da quelle più classiche a quelle “speciali”, che combinano in maniera originale gli ingredienti made in Parma, come la Cittadella con il Cavallo Pesto e il Parmigiano Reggiano.
Oltre che nelle grandi città, la pizzeria Fradiavolo di Mauro D’Errico e Gianluca Lotta è presente anche in realtà urbane più piccole, come Cuneo, Asti, Novara, proponendo così anche in provincia una nuova esperienza che punta su ingredienti di qualità. Presente nella classifica “50 Top Pizza”, la pizzeria è sensibile al tema della sostenibilità e per questo motivo adotta packaging riciclabile e materiali di recupero per i suoi locali. Si può scegliere fra tre tipi di impasti, sei tipi di margherita, pizze tradizionali e pizze pop. Fra queste ultime, c’è la Fichi si nasce con crema di fiordilatte, prosciutto crudo, stracciatella e mostarda di fichi.
In Sicilia Pantografo ha scelto di andare addirittura per paesi, a dimostrazione del fatto che ormai una buona pizza si trova anche nei posti più periferici, dove non te lo aspetteresti. Ad Altavilla Milicia (Palermo) c’è Saccharum, recentemente premiata con i tre spicchi del Gambero Rosso. La pizzeria si è fatta notare per il lavoro di studio e di ricerca di Gioacchino Gargano, chef e patron che esprime con le sue pizze un felice dialogo fra la passione per l’abbinamento degli ingredienti del territorio e la volontà di proporre una pizza innovativa. E al quale dobbiamo, fra l’altro, la ricetta dello Sfincione bianco bagherese (in fondo a questo articolo), che per lo chef è la pizza siciliana. Farine macinate a pietra, lunga lievitazione ed elevata idratazione sono le parole chiave dell’impasto che, una volta pronto, sposa ingredienti locali e stagionali, con una particolare attenzione ai Presidi Slow Food. Lo dimostra per esempio Profumi Etnei, che coniuga la provola delle Madonie affumicata e la pancetta di Suino Nero con la crema di patate e il fiordilatte.
A Raffadali (Agrigento) abbiamo scoperto Le Fontanelle del pluripremiato Vincenzo La Porta. La sua è una pizza che racconta due territori: l’agrigentino con le sue eccellenze, quali il pistacchio Dop di Raffadali, le acciughe di Sciacca, i formaggi di capra girgentana, il pomodoro siccagno di Aragona, e quello campano, con le mozzarelle di bufala. Oltre all’impasto classico, Vincenzo propone anche quello a fermentazione spontanea, utilizzando la mela e i semi di lino, che risulta ancor più leggero e digeribile. Inoltre, a rotazione, prepara anche impasti speciali con curcuma o canapa. Stagionalità, presidi Slow food, materie prime locali – alla selezione delle quali si dedica la compagna Giorgia Palillo – sono parole chiave delle sue pizze, fra le quali c’è Radici, con stracotto di pomodoro siccagno di Aragona, cipolla, bietole ripassate in padella, pomodoro semi dry, primo sale di pecora, mollica alle acciughe e ricotta al forno (rivisitazione del Cudduruni, antica ricetta contadina tipica dell’agrigentino).
Ad Acireale (Catania), poi, è nata la pizzeria Frumento, anch’essa presente nella classifica “50 Top Pizza”. L’idea di Emanuele Serpa, proprietario del locale, è che una pizza contemporanea, per essere tale, deve dialogare con l’evoluzione del linguaggio gastronomico attraverso una certosina ricerca di materie prime provenienti da nicchie d’eccellenza che siano del vicino territorio etneo, siciliane in generale, italiane o europee. Partendo da tre tipi di impasto, fra i quali quello con la farina di grano Perciasacchi (l’antico khorasan biologico medio-orientale), arrivano a tavola veri e propri racconti di qualità. Il menu presenta diverse sezioni, fra le quali “Km Buono”, dedicata agli ingredienti non locali che meritano di essere utilizzati, e “Autoctone”, pensata per quelli del territorio. Da non perdere è Trunzo e Bufalo, la pizza con il cavolo trunzo di Aci (presidio Slow Food), mozzarella di bufala campana Dop, cipolletta, salsiccia di bufalo ragusano condita con finocchietto. A breve Frumento aprirà i battenti anche a Modica.
In copertina: © Benedetto Tarantino
La ricetta dello sfincione bianco bagherese di Gioacchino Gargano
INGREDIENTI per 4 persone
IMPASTO
Farina 0 800g
Farina di grano duro 200g
Lievito di birra 20g oppure lievito madre maturo pronto per panificare 200g
Acqua 650g
Sale 25g
Olio di oliva extravergine 20g
FARCITURA
1kg di cipolla bianca, meglio se scalogno
1/2 kg tuma
250g acciuga dì aspra
1/2 kg ricotta di pecora
500g mollica fresca
Origano
Cannella
PROCEDIMENTO
Iniziate setacciando le farine e, procedendo a impastare, aggiungete a poco a poco l’acqua calda dove avrete sciolto il lievito di birra. Aggiungete il sale e la restante acqua e continuate a impastare aggiungendo anche l’olio. Quando l’impasto sarà perfettamente omogeneo, lasciatelo riposare per almeno 2 ore al caldo, aiutandovi con delle coperte. Se avete usato il lievito di birra basteranno due ore, aspettate invece fino al raddoppiamento del volume dell’impasto (fino a 48 ore) se avete usato il lievito madre.
Scaldate in casseruola un paio di cucchiai di olio e fate sciogliere qualche filetto di acciughe, mettete la cipolla tagliata a fette non troppo sottili e fate stufare. Quando sarà molto morbida e ben cotta spegnete il fuoco. Stendete bene l’impasto su una teglia da sfincione con i bordi alti e procedete per prima cosa con le acciughe: fatele a piccoli pezzi e poggiatele sulla pasta cruda con una leggera pressione del dito. Poi cospargete tutto con le cipolle stufate, seguite dai pezzetti di tuma e dalla ricotta a cucchiaiate. Quindi cospargete di origano, pangrattato, un pizzico di cannella e un giro di olio extra vergine d’oliva. Mettere in forno a 220 gradi per 50 minuti.
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