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La città della prossimità: luogo della costruzione delle comunità

Ezio Manzini racconta del suo ultimo libro e della declinazione della vicinanza come strategia per una collettività basata sulle relazioni


Per Marc Augè, tra i pensatori più significativi dell’antropologia contemporanea, le periferie non sono un concetto geografico, ma sociale. Ci sono quartieri centralissimi, le cui dinamiche sono degradate e quartieri periferici che sono invece luoghi vitali. Tra questa dicotomia centro-fuori, c’è la terza via di Salvador Rueda, dell’Agència d’Ecologia Urbana di Barcellona, ideatore nel lontano 1987 delle “superillas”, superblocchi. Rueda aveva immaginato una città non più dominata dalle automobili, ma da spazi pubblici usati da pedoni e ciclisti e organizzati attorno a isolati, che avevano la stessa funzionalità delle zone cittadine più servite. Ezio Manzini, ingegnere, architetto e tra i maggiori studiosi italiani e mondiali di design per la sostenibilità, oggi honorary professor del Politecnico di Milano, racconta nel suo ultimo libro Abitare la prossimità, edito da Egea, la città e il suo futuro.


Un futuro che si regge su un’idea che è in circolazione da tempo e che, negli ultimi anni, ha ricevuto maggior attenzione: quella di una città in cui tutto ciò che serve quotidianamente stia a pochi minuti a piedi da dove si abita.


Ma non solo. Una città in cui a questa prossimità funzionale ne corrisponda una relazionale, grazie a cui le persone abbiano più opportunità di incontrarsi, sostenersi a vicenda, avere cura reciproca e dell’ambiente, collaborare per raggiungere assieme degli obiettivi. In definitiva, una città costruita a partire dalla vita dei cittadini e da un’idea di prossimità abitabile in cui essi possano trovare ciò che serve per vivere, e per farlo assieme ad altri.

Immagine di copertina del libro

Possiamo costruire la città contemporanea a partire da una nuova idea di prossimità? La risposta che esso propone è che sì, si può farlo. Le innovazioni sociali degli scorsi venti anni ci indicano infatti da dove cominciare. Ma non solo. Molte città nel mondo, tra cui Parigi, Barcellona, Milano, hanno preso degli impegni e stanno facendo dei passi in questa direzione proponendo delle concrete anticipazioni di ciò che questa città delle prossimità potrebbe essere: una città in cui innovazione sociale, cura, beni comuni, comunità di luogo e piattaforme digitali abilitanti diventano le parole-chiave di una nuova e diffusa progettualità sociale. La costruzione della comunità è alla base di questo pensiero e la città diventa il luogo di costruzione della comunità, diventando la città per tutti.

«Il libro è un contributo a temi già in circolo da tempo, ma ci sono stati alcuni acceleratori di interesse. Il Covid, per esempio, è stato uno di questi, negandoci la vicinanza. Poi un po’ di tempo prima della pandemia, la sindaca di Parigi aveva abbracciato questo tema in campagna elettorale, facendo guadagnare all’argomento una posizione, un nome, diventando uno slogan più popolare: la città dei 15 minuti», racconta Manzini. Non è un manuale, ma un contributo critico che cerca di dare articolazione al tema. «Un ruolo importante, parlando di vicinanza e prossimità, lo ha la potenzialità di cura. Quindi c’è una relazione strettissima tra una dimensione fisica della prossimità e una operazionale della cura. Non c’è cura senza vicinanza. Prossimità significa anche vicinanza empatica tra esseri umani. Si tratta dell’antidoto a una società di individui, scongiurando la società della solitudine. Oggi di una solitudine connessa, il brodo di cultura di tutte quelle bolle comunicative, di tutte quelle comunità chiuse», spiega Manzini.

Quindi non è nella raggiungibilità dei luoghi all’interno di una condizione temporale, il fulcro. È l’idea di città che fa riflettere, di una città che si relaziona in modo empatico con il tema del progetto intorno al quale una comunità si costruisce, che altro non è che il progetto intorno al quale una comunità decide di autodeterminarsi. In sostanza la città del futuro, spiega Manzini, si deve alimentare con la complementarietà di due dimensioni distintive: la parte funzionale e quella affettiva.

Della città dei 15 minuti si parla anche su thebrief.

 

Immagine di copertina: © Redazione RadioNolo

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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