Dall’Olanda all’Italia, tre esempi di co-progettazione del tessuto urbano
«Qui una volta ci giocavano i bambini mentre gli adulti si incontravano per fare due chiacchiere e gli anziani per giocare a carte. Oggi non c’è più nessuno, solo nel weekend qualcuno viene a fare una passeggiata». Una narrativa, questa, che riguarda molti spazi pubblici come piazze, cortili o giardini. Tutte zone che nel tempo si sono trasformate in non luoghi i quali, non di rado, sono progressivamente diventati ambienti degradati.
È possibile, quindi, ridare identità a queste aree? In una società sempre più frammentata, come fare per rendere di nuovo questi spazi dei luoghi di aggregazione per la comunità?
A queste e altre domande hanno risposto Donica Buisman, Nasrin Mohiti Asli e Lucrezia Cippitelli, intervenute durante una sessione della Biennale Spazio Pubblico 2019 presso la facoltà di Architettura dell’Università Roma Tre. Obiettivo del momento di confronto, quello di raccontare una serie di best practice legate al tema della riattivazione del tessuto sociale urbano.
Cultura
«Una delle cose che più di altre mi ha spinto a lavorare sul progetto RAUM – ha spiegato la Buisman – è che amo gli spazi pubblici e la capacità di creare rapporti fra le persone che li vivono. In Olanda abbiamo tantissimi luoghi di questo tipo, ma è difficile che siano riconoscibili e identitari per gli abitanti. Non basta inserire dei giochi per bambini e tenerli puliti. In questo senso mi ha aiutato molto l’aver toccato con mano una serie di processi di co-creazione portati avanti a New York. Ed è proprio la condivisione del progetto RAUM con i cittadini che ha garantito il suo successo e che ci ha permesso di rendere una sorta di centro commerciale frequentato solo dai residenti del quartiere di Utrecht, in un polo attrattivo per tutta la cittadinanza. Dopo una serie di iniziative volte a stimolare delle proposte o anche semplicemente delle idee – ha sottolineato la Buisman – abbiamo deciso di puntare sulla cultura e, su loro specifica richiesta, di farli partecipare alla produzione artistica. Installazioni temporanee, eventi, talk show, spettacoli teatrali, street art. Tutti questi elementi ci hanno permesso di trasformare uno spazio anonimo e vissuto solo nei fine settimana in un centro periferico del tessuto urbano. Per il successo dell’operazione è stato fondamentale il supporto, anche economico, del comune di Utrecht».
Partecipazione
«Il caso studio che ho portato fa parte di un processo di ricerca di lungo periodo sulla riattivazione degli spazi pubblici dimenticati» ha esordito Nasri Mohiti Asli del collettivo di architetti Orizzontale. «Il sito si trova alla Marranella, quadrante sud est della capitale. Il quartiere, nato nei primi del ‘900, si trasformò in breve in un’area abitata in particolare da immigrati prima italiani e poi stranieri, spesso dimenticata dall’Amministrazione comunale. Un esempio? Diverse vie e piazze sono prive di toponomastica proprio come il lotto di cui ci siamo occupati. Lo spazio pubblico in questione si trova sopra un parcheggio sotterraneo costruito nella prima decade del 2000. Nonostante l’esistenza di un piano che prevedeva la realizzazione di opere di pubblica utilità a carico dell’impresa titolare dei lavori, nulla è stato fatto. Dopo essere stata recintata e chiusa per diverso tempo, nel 2011 l’area è stata restituita alla cittadinanza trasformandosi in una sorta di piazza totalmente priva di arredo urbano. Come Orizzontale – ha raccontato la Mohiti Asli – abbiamo deciso di dar vita ad una iniziativa di coinvolgimento rinominata “Iceberg”, una sorta di metafora rispetto alle grandi potenzialità sopite del quartiere, allo scopo di ripopolare l’ambiente e riattivare il senso di comunità dei residenti. Abbiamo così prodotto delle strutture temporanee che abbiamo inserito nella piazza. Inoltre, anche per stimolare la partecipazione, la pavimentazione è stata ricoperta con un’opera di street art. Questo ha spinto molti abitanti, favorevoli e non, a proporre delle alternative e a spingere per avere voce in capitolo sul destino dello spazio. Purtroppo l’incapacità dell’Amministrazione di rapportarsi con questi processi bottom-up di co-gestione degli ambienti, ha determinato la chiusura di quella fase».
Comunità
Ad esporre l’esperienza dell’agenzia di trasformazione culturale cheFare è stata Lucrezia Cippitelli, professoressa di estetica all’Accademia di Belle arti di Brera. «Il progetto “Civic Media Art, Media Civici di Artista” si è svolto a Milano nel quartiere Adriano, nato per essere un distretto-giardino per la nuova borghesia mai realizzato. Grazie ad una collaborazione con l’ambasciata olandese, abbiamo visitato diversi siti nei Paesi Bassi dove i residenti hanno dato vita a processi partecipati focalizzati sul recupero dell’identità degli spazi pubblici. Il nostro percorso, volto a restituire il senso di comunità in una realtà sociale disgregata, è partito dal confronto con tutte, e dico tutte, le anime del distretto. Abbiamo organizzato feste, concerti, cene, letture pubbliche, momenti di sport. Alla fine siamo venuti a capo del progetto proponendo due interventi che, anche se episodici, hanno avuto un impatto molto forte sul quartiere. Due le azioni: attaccare striscioni con brevi frasi ai balconi delle case per cercare di dar voce alla visione degli abitanti e predisporre una giornata di festa aperta a tutti i milanesi, non solo ai residenti del vicinato. Il fine? Quello di mettere insieme le persone per incoraggiare la nascita di una nuova narrativa del quartiere e farlo uscire dalla visione di una periferia multiculturale senza un passato, un presente e un futuro».
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